sabato 13 novembre 2010

PROVA SCRITTA DI ITALIANO (MERC 17 NOVEMBRE) - TIPOLOGIA D (Tema di ordine generale)

Letture di riferimento, con funzione introduttiva alle tracce che saranno proposte:

TRACCIA N. 1: Lettura 1 - Lettura 2 - Lettura 3

TRACCIA N. 2: Lettura 1 - Lettura 2 - Lettura 3

TRACCIA N. 3: Lettura 1 - Lettura 2 - Lettura 3

TRACCIA N. 4: Lettura 1 - Lettura 2 - Lettura 3

TRACCIA N. 5: Lettura 1 - Lettura 2 - Lettura 3

sabato 23 ottobre 2010

TALUCCI - Testo argomentativo - Tema n. 2

Tutti o nessuno!
Crocifissi nelle aule: fra polemiche e approvazioni.

Una sentenza emessa all’unanimità da sette giudici della corte europea dei diritti umani di Strasburgo sostiene che il crocifisso appeso nelle aule scolastiche sia un limite alla libertà religiosa. Pertanto, secondo quanto emerso dalla deliberazione, il crocifisso è in grado di turbare profondamente la sensibilità dei non cattolici e rappresenta una palese incoerenza contro la laicizzazione dello stato.
Contro la corte si sono immediatamente scagliate numerose critiche che provengono in particolare dal governo italiano, da cittadini cristiani cattolici e dal Vaticano che parla di “decisione miope e sbagliata”.
Non dichiaro una mia più totale indifferenza in materia, ma ritengo che la discussione sia durata fin troppo. È ormai necessario porre fine a quest’ignorante scontro tra scuola e religione.
Ciò che vorrei sottolineare è il fatto che la nazione italiana si sta lentamente muovendo per diventare un paese multietnico. Gli stranieri sono ormai numerosissimi e con questi le loro culture, tradizioni, religioni. Musulmani, ebrei, buddisti, induisti… in democrazia anche le rivendicazioni delle minoranze vanno rispettate. L’Italia è un paese democratico. Pertanto nella nostra nazione è importante agire sempre nell’interesse di tutti, comprese le minoranze straniere. Sarebbe sinonimo di innovazione, originalità e modernità dedicare una parete delle aule scolastiche a tutti i simboli religiosi. Ecco! L’immagine della convivenza e del rispetto reciproco. Tanti simboli appesi, tutti carichi di intenso significato e soprattutto vicini. “A Dio piace essere venerato in molti modi”. È questa l’idea suggerita dall’esponente del filone utopico rinascimentale Tommaso Moro, che appoggio pienamente. Egli è uno dei massimi esponenti della tolleranza religiosa e critica fortemente il fanatismo. Sono infatti da condannare esclusivamente i simboli specchio di ideali fissati ed invasati. Tuttavia tale proposta non esonererebbe gli atei, in quanto anch’essi potrebbero creare un proprio simbolo (pacifista e inoffensivo).
L’unica alternativa che riesco a distinguere sarebbe quella di spogliare i muri scolastici da ogni simbolo religioso. Tutti o nessuno! È un principio fondamentale per garantire maggior giustizia possibile: accontentare tutti o, nel caso in cui ciò non si possa verificare, l’opzione coinciderebbe con l’inappagamento generale.
Nessuno sembra interessato ad assicurare una piena convivenza all’interno dell’umanità e in primis tra le religioni.
Se da una parte la Corte di Strasburgo sembra salvaguardare più che la laicità dello stato gli interessi degli atei, dall’altra i ministri italiani tentano esclusivamente di tutelare la religione cristiana cattolica. Lo stesso Marco Travaglio che scrive l’articolo “Ma io difendo quella croce”, pubblicato il 5 settembre 2009 sull’editoriale “Il fatto quotidiano” attacca le tesi sostenute dal governo italiano. Feltri, Bersani, Berlusconi, Gelmini, leghisti, ministri che parlano e straparlano, abbozzano incomplete definizioni per difendere la croce, senza neppure considerare il fatto che per la costituzione italiana il crocifisso è un semplice “arredo scolastico”. Travaglio precisa come nemmeno la Santa Sede riesca a sottolineare l’immagine a cui il crocifisso rimanda. Quella, appunto, di un uomo torturato, sacrificato sulla croce per noi. È il simbolo stesso dell’umanità, della libertà e della giustizia. Non ha pertanto alcun senso scagliarsi contro Cristo, rappresentato con un muto, innocente, inoffensivo pezzo di legno. La sua figura tace, non genere alcuna discriminazione, anzi è emblema della sofferenza, uguaglianza e speranza.
Sono pienamente d’accordo con quanto afferma Travaglio, anche se egli non sembra cogliere il fatto che il crocifisso non sia l’unico simbolo esistente. Tutte le religioni possiedono statuette, immagini, testi simbolici con significati ugualmente profondi, spesso simili a quello dello stesso crocifisso. Dalla Ruota del Dharma buddista, alla stella di David ebraica, alla Mezzaluna islamica, all’Omkar induista, allo Yin e Yang taoista… ed è proprio diritto di questi simboli, tutti inoffensivi, avere un piccolo ma significativo posticino sulle pareti scolastiche. È infatti importante che i bambini , i ragazzi conoscano fin dai banchi di scuola i significati di tutti i simboli religiosi, aldilà delle loro credenze e di quelle delle loro famiglie, affinché si diffondano gli ideali basilari di tolleranza e liberalità.

venerdì 15 ottobre 2010

Francesetti testo argomentativo traccia 2

Il crocefisso nelle aule
Tradizione o obbligo?
Si chiama Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, la donna che ha portato il caso del crocefisso nelle aule sulle prime pagine di molti giornali. Pare infatti che volesse che la croce fosse tolta dalle classi dei suoi figli e che dopo essersi rivolta inutilmente al Tar del Veneto, alla Corte Costituzionale e al Consiglio di Stato, sia stata la Corte europea dei diritti dell’uomo a darle ragione.
Questa notizia ha suscitato più in Italia che in ogni altro stato europeo clamore: tutti i politici del nostro paese (fatta eccezione per la Sinistra Radicale) si sono espressi negativamente riguardo questa decisione. Ad esempio il ministro dell’istruzione, Maria Stella Gelmini, come anche Pier Ferdinando Casini, pare trovino nel crocefisso un simbolo della tradizione italiana; viene allora da chiedersi perché non appendere anche una simpatica collana di cipolle: in fondo anche questo è un tipico emblema del bel paese, e sicuramente non ha fatto piangere quanto la Chiesa.
Il Vaticano si è mostrato amareggiato da tale decisione, ritenendo la croce un’importante parte del nostro patrimonio; il quotidiano “L’Unità” ha poi affermato che questo simbolo è una parte della storia del mondo intero: ritengo che non ci sia nulla di più vero, bisogna però prestare attenzione all’abissale differenza che corre tra il messaggio della Chiesa (che si è spesso rivelato discriminatorio nel passato) e quello di uguaglianza e amore tra gli uomini, diffuso da Gesù (a parer mio, geniale).
"Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io." Esordisce così Marco Travaglio, noto giornalista, uno dei pochi a fornire un paio di occhiali ai miopi italiani. Egli ritiene che per il messaggio che porta con sé, non ci sia nulla di sbagliato nell’appendere due asticelle di legno nelle classi delle scuole italiane; d’altronde, quale italiano sarebbe contrario a un oggetto simbolo di pace e fraternità umana? Quindi, viene spontaneo chiedersi, perché tanto clamore? Forse è perché purtroppo porta con sé ideologie e mentalità bigotte (basti pensare alla rigidità dimostrata dalla “Santa” Sede nei confronti di omosessuali, divorziati…), che alcune famiglie italiane preferiscono non inculcare ai propri figli perché non proprio coincidenti con quelle professate da Cristo.
Guardando al di là di tutti queste opinioni, penso che la libertà venga prima di tutto riguardo questioni simili: per evitare discussioni bisognerebbe forse lasciare una parete bianca, da riempire con tutti i simboli religiosi e non, che ogni alunno sarebbe libero di appendere, a condizione che essi non siano offensivi nei confronti di nessuno. Non credo che imporre leggi che non potranno mai calzare a pennello con gli svariati problemi di oltre 60 milioni di persone abbia mai portato risultati positivi, quindi dovremo probabilmente lasciare libertà di "app(r)endere" ciò in cui si crede.

RICHIARDI - TRACCIA 4

Caccia: si o no?
Giusto praticarla o meglio abolirla?

Fin dai tempi più antichi, l'uomo per procurarsi cibo, cacciava gli animali selvatici, perché non conosceva ancora l'allevamento. Poi l'uomo incominciò ad allevare gli animali e questo gli permise d'avere dimora fissa e la caccia non fu più indispensabile. Pertanto ora la caccia non è più praticata per procurarsi cibo, ma per divertimento e sport e di conseguenza nasce il dibattito se la caccia vada difesa o abolita. Per 7 italiani su 10 andrebbe abolita, infatti, legata alla cacciagione, c'è l'estinzione di alcune specie animali e viene comunque ritenuta un pratica incivile carica di violenza. A causa della caccia la scomparsa di una sola specie costituirebbe un danno irreparabile per tutti gli esseri viventi. Per evitare questo, bisognerebbe abolire la caccia, anche se questo causerebbe danno all'industria che produce armi e abbigliamento, con diminuzione agli addetti a quel settore. Secondo altri (un italiano su 10) la caccia va difesa perché non danneggia l'ambiente, ma elimina alcune specie d'animali che danneggiano l'agricoltura. Secondo questi sostenitori, i cacciatori non si limitano a cacciare, ma effettuano ripopolamenti della selvaggina e curano l'ambiente. Essi affermano che non sono loro a causare la scomparsa della fauna, perché sono interessati alla conservazione degli animali, quindi le vere cause sono l'inquinamento e gli insetticidi. Un aspetto decisamente peggiore e ben più grave è rappresentato dal bracconaggio: questi cosiddetti “cacciatori” uccidono gli animali che vivono nelle riserve e che sono specie protette, compiendo delle vere e proprie stragi sia verso gli animali che verso l'ambiente. Ne sono un esempio i bracconieri che ammazzano rinoceronti ed elefanti esclusivamente per ricavarne l' avorio dalle zanne, e venderlo magari al mercato nero. Con questo si vuole dimostrare che la caccia illegale è un pericolo per l'equilibrio terrestre. È ingiusto quindi voler abolire la caccia, soprattutto nei confronti di chi svolge la caccia rispettando l' ambiente; il vero problema è il bracconaggio, causa principale del rischio d' estinzione di molte specie.
La diatriba se mantenere e regolamentare la caccia o abolirla del tutto è sempre stata molto accesa e recentemente in questa lotta ha preso parte Michela Vittoria Brambilla, come si evince da un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Giorno” del 14/05/2010. Queste sono le sue parole: “Non solo si può, ma si deve abolire la caccia; i cacciatori si rassegnino. Non credo che una minoranza di 710mila persone possa rivendicare con arroganza la libertà di uccidere animali indifesi, cosa inaccettabile per la stragrande maggioranza degli italiani». È durissima, il ministro del Turismo: «Non è degno di un Paese civile uccidere per sport. Chi non rispetta gli animali non rispetta neanche gli esseri umani». E un pensiero va alle famiglie dei due volontari animalisti freddati in Liguria, tragedia scatenata «dalla mancanza di rispetto per la vita». Resta il fatto che l’abolizione delle attività venatorie è al primo punto di un manifesto lanciato dalla Brambilla con l’oncologo Umberto Veronesi da Palazzo Reale, a Milano. L’iniziativa si chiama «La coscienza degli animali» e ha già un sito internet (www.lacoscienzadeglianimali.it), il plauso degli animalisti (Lav e Wwf) e nove interpreti pronti a metterci parole e faccia.
Secondo me la caccia non va abolita, nonostante sia un amante degli animali. Certo, ci sono modi e modi di cacciare, ed è per questo che non deve essere vietata: infatti vi sono cacciatori che la svolgono onestamente e con rispetto, i veri appassionati insomma. C'è invece chi la pratica con metodi spietati, coloro cioè che non ritengono questo “sport” una passione e un modo di stare in mezzo alla natura.

PAPURELLO- testo argomentativo- tema 1

L’ Italia vuole il velo?
Burqa non gradito.



In Francia è stato approvato il divieto di indossare il burqa e il niqhab in luoghi pubblici: «Vivere la Repubblica a viso scoperto è una questione di dignità ed uguaglianza» afferma il ministro della giustizia francese Michele Alliot-Marie.
Immediata è la reazione dell’ Italia che presenterà un disegno di legge esattamente identico alla legge dello Stato francese e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, dichiara «Il divieto di burqa è giusto, opportuno e doveroso».
All’ origine del divieto del velo non vi è una questione di carattere religioso, la Repubblica Italiana rispetta la religione, qualunque essa sia, degli altri paesi ed essa è sancita dall’ articolo otto che garantisce libertà di culto. In Francia, non si è vietato di indossare lo chador o l’ hijab, ma solo quei tipi di veli che coprono integralmente il volto: si tratta infatti di motivi relativi all’ ordine pubblico.
Dietro il velo si potrebbe nascondere un criminale, in tal modo non riconoscibile e bisogna anche prendere in considerazione il fatto che in Italia è già in vigore una legge costituzionale che vieta di andare in giro mascherati.
Tuttavia non tutte le donne musulmane sono obbligate a indossare il velo e solo in alcuni paesi, legati ad aree geografiche del mondo, vi è la costrizione ad aderire a questo codice di abbigliamento dettato dalla religione di Allah: si tratta dunque di un segno di obbedienza a Dio e non all’ uomo, a cui la donna puo’ scegliere o non scegliere di aderire. Anzi, coprire, anche in modo integrale, alcune parti del corpo è simbolo di liberazione dalla schiavizzazione della donna da parte dell’ uomo.
Non tutte però hanno questo privilegio di scelta, legato a una lunga tradizione gerarchica, e molte giovani donne sono costrette dalla propria famiglia a osservare la religione islamica.
E’ dunque evidente che il velo è simbolo di sottomissione della donna all’ uomo, la quale è educata a questo atteggiamento fin da ragazzina. Nei paesi musulmani la dignità della donna è completamente ignorata e non è un caso che in proprio in questi paesi essa venga sgozzata, lapidata e non rispettata.
Oltre a vietare l’ uso di questo tipo di capo, simbolo di abnegazione della propria persona e di quella altrui, si dovrebbe anche istituire un corso di educazione civica perché è irrispettoso nei confronti di coloro che tanto hanno fatto per portare al pari dell’ uomo, con eguali diritti e doveri, la donna.
Il divieto di velo dovrebbe dunque essere introdotto anche in Italia perché poco importa se ciò significa inasprire relazioni interculturali già di per sé complesse o avere un atteggiamento di favore nei confronti di quei paesi come l’ Africa Subsahriana, dove non vige l’ obbligo di indossare il burqa per la donna Occidentale.
Il dovere più importante per lo Stato è garantire l’ ordine pubblico e la sicurezza delle persone e anche, soprattutto, la personalità di ogni singolo individuo anche se questo comporta calpestare una tradizione secolare.

Osella Bon Alessandro Traccia 1

Il burqa è un indumento femminile tradizionale di alcuni paesi di religione islamica; questo abito è un mantello che copre integralmente il corpo della donna volto compreso, alcuni tipi hanno una feritoia all’altezza degli occhi, altri una retina. Ci sono anche altri tipi di velo: il chador che è il tradizionale copricapo delle donne iraniane, tenuto chiuso sotto il mento, simile a un mantello che si allunga fino ai piedi; un altro tipo è l’hijab un foulard che copre la testa e le spalle lasciando scoperto il viso; infine vi è il niqab di origine arabica, composto da due pezzi uno che copre naso e bocca e un altro che copre i capelli e la parte superiore del busto. L’uso di questo capo è stato introdotto agli inizi del 1900 in Afghanistan durante il regno di Habibullah che lo impose alle duecento donne del suo harem; inizialmente chiunque era libero di non farne uso ma successivamente con il regime dei Talebani divenne obbligatorio. Recentemente, grazie ad una legge proposta dal partito di maggioranza, la Francia è diventata il primo paese europeo a censurare il burqa su tutto il territorio nazionale. Uno dei principali motivi di questo provvedimento è l’obbligo per ogni cittadino di essere riconoscibile nei luoghi pubblici, soprattutto in caso di manifestazioni; un altro motivo per cui l’uso del burqa dovrebbe essere vietato è che esso è soprattutto contrario ai concetti fondamentali di uguaglianza dei sessi. E’ però necessario dire che l’usanza del velo è antica e riguarda in prevalenza la sfera religiosa infatti sia nel Nuovo Testamento che nel Corano vi è scritto che l'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell'uomo,infatti,non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo, né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza. L’uso di questo indumento fa ancora oggi parte della tradizione islamica e dovrebbe essere uno dei compiti dello stato quello di preservare le tradizioni ma nei paesi europei è una cosa al limite della legalità perché è in contrasto con alcune leggi. Nel nostro paese è stata creata una legge del 1975 che recita: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”.L’Italia è divisa per quanto riguarda questo tema;alcune persone credono che non sia giusto abolire l’uso del burqa perché si andrebbe contro la libertà religiosa, questa è la tesi sostenuta dalla sinistra. Contrariamente a questa opinione la destra è favorevole alla normativa approvata in Francia in quanto ritiene più importante garantire la sicurezza. Secondo me questa legge dovrebbe essere approvata in Italia però con delle attenuanti come per esempio la sostituzione del burqa con l’hijab che consentirebbe sia la libertà di culto che l’identificazione dell’individuo in modo tale da poter evitare problemi di ordine pubblico; in questo modo i paesi a religione islamica non avrebbero modo di interpretare questa legge come una discriminazione religiosa nei loro confronti. Penso inoltre che ci si debba adeguare alle abitudini e alle leggi dei paesi in cui si vive.

REVIGLIO-TESTO ARGOMENTATIVO-TEMA 1

Burka: vietarlo può rendere più facile la convivenza con la comunità islamica?

Il burka è una questione che deve essere risolta dagli islamici.



Il velo è un indumento in uso nella tradizione del popolo islamico e viene indossato dalle donne per coprire il proprio corpo dagli sguardi degli uomini fuori dal nucleo familiare. Diversamente da come si può pensare il velo non è imposto dal Corano, ci sono sì passi di cui ne parlano ma è più che altro un’ usanza legata alla tradizione dei popoli arabi.
Bisogna però fare un’ attenta differenzazione dei diversi tipi di velo. Ci sono veli che non coprono il volto, come l’ abava e il chador, in uso in medio oriente, l’ haik, tipicamente nord africano, e l’ hijab, il più utilizzato in Europa, e invece veli che coprono l’ intera figura compreso il viso, il burka e il niqab. Questi ultimi sono i due veli che negli ultimi anni hanno generato non poche discussioni in tutti gli stati europei, ma sono pochi i provvedimenti legislativi attuati nei loro confronti.
Infatti solo alcuni stati come la Francia, il Belgio e la Svezia hanno deciso di vietarne l’ uso ma solamente nei luoghi pubblici, tra cui la scuola, senza però risolvere interamente il problema. In Italia la discussione è ancora aperta e alcuni politici, come il presidente della Camera Gianfranco Fini, si sono dimostrati favorevoli al divieto sostenendo che il burka violerebbe la dignità della donna.
Però a questo punto si presentano alcune problematiche: realmente tutte le donne islamiche sono contro all’ utilizzo del burka?. Probabilmente no. Avendo vissuto in una società, quella islamica, che ne impone l’ utilizzo come dovere nei confronti della religione, per molte donne islamiche é naturale portare il burka o il niqab. Anzi, alcune lo indossano per sottolineare la propria volontà di essere accettate per ciò che sono. Se portarlo verrà vietato in qualsiasi luogo, non verrà anche violata la libertà di scegliere come vestirsi e di come affermare i valori della propria tradizione di queste donne? A questo punto vietarlo sarebbe un delitto alla pari dell’ imporlo.
Molti inoltre sostengono che il burka e il niqab devono essere vietati per ragioni di sicurezza comune. Queste due tipologie di velo, coprendo interamente il viso, non permettono di riconoscere il volto delle persone che li indossano che quindi potrebbero più facilmente commettere crimini senza poi essere riconosciute. C’è però solo una legge della Costituzione italiana che tratta questo argomento, e questa vieta l’ utilizzo di caschi protettivi o qualsiasi altro indumento utilizzato per coprire il volto ma solo se in mancanza di un motivo giustificato. La matrice religiosa è stata reputata dal Consiglio di Stato un valido motivo per poter circolare con il velo sul volto.
Il mio parere è che sul velo non si può attuare alcun provvedimento senza scontentare qualcuno. Infatti sarebbe sbagliato vietarlo per motivi di libertà personale poiché proprio vietandolo si scongiurerebbe la libertà di indossarlo. Per cui è inutile proclamarsi difensori della dignità delle donne se poi si discriminano altre donne. Probabilmente coloro che sostengono queste argomentazioni in realtà vogliono semplicemente uniformare alle abitudini del mondo europeo tutte le popolazioni extra-comunitarie, sostenendo anche che il burka sarebbe un muro che genera separazione tra europei e islamici. Non credo che una persona debba fermarsi alle apparenze, colui che lo fa è in errore e quindi non può pretendere che un’ altra persona cambi il suo aspetto per facilitarsi l’ integrazione. Invece sono d’ accordo con chi sostiene che il burka e il niqab siano una problematica per la sicurezza. Immagino ad esempio l’ impiegato di banca che si vede arrivare una persona con il volto e il corpo coperti da un velo. Questi non sarebbe in grado di riconoscere la persona coperta, che potrebbe essere anche un uomo e quindi anche un rapinatore.
Sostengo che l’ Europa non dovrebbe agire in alcun modo contro l’ utilizzo del velo, ma dovrebbe essere il popolo islamico a superare questa tradizione inutile e ingiustificata. Inoltre, probabilmente, noi europei non avremmo alcun problema a concederne l’ uso se gli arabi ci trattassero come noi cerchiamo di trattare loro.