sabato 23 ottobre 2010

TALUCCI - Testo argomentativo - Tema n. 2

Tutti o nessuno!
Crocifissi nelle aule: fra polemiche e approvazioni.

Una sentenza emessa all’unanimità da sette giudici della corte europea dei diritti umani di Strasburgo sostiene che il crocifisso appeso nelle aule scolastiche sia un limite alla libertà religiosa. Pertanto, secondo quanto emerso dalla deliberazione, il crocifisso è in grado di turbare profondamente la sensibilità dei non cattolici e rappresenta una palese incoerenza contro la laicizzazione dello stato.
Contro la corte si sono immediatamente scagliate numerose critiche che provengono in particolare dal governo italiano, da cittadini cristiani cattolici e dal Vaticano che parla di “decisione miope e sbagliata”.
Non dichiaro una mia più totale indifferenza in materia, ma ritengo che la discussione sia durata fin troppo. È ormai necessario porre fine a quest’ignorante scontro tra scuola e religione.
Ciò che vorrei sottolineare è il fatto che la nazione italiana si sta lentamente muovendo per diventare un paese multietnico. Gli stranieri sono ormai numerosissimi e con questi le loro culture, tradizioni, religioni. Musulmani, ebrei, buddisti, induisti… in democrazia anche le rivendicazioni delle minoranze vanno rispettate. L’Italia è un paese democratico. Pertanto nella nostra nazione è importante agire sempre nell’interesse di tutti, comprese le minoranze straniere. Sarebbe sinonimo di innovazione, originalità e modernità dedicare una parete delle aule scolastiche a tutti i simboli religiosi. Ecco! L’immagine della convivenza e del rispetto reciproco. Tanti simboli appesi, tutti carichi di intenso significato e soprattutto vicini. “A Dio piace essere venerato in molti modi”. È questa l’idea suggerita dall’esponente del filone utopico rinascimentale Tommaso Moro, che appoggio pienamente. Egli è uno dei massimi esponenti della tolleranza religiosa e critica fortemente il fanatismo. Sono infatti da condannare esclusivamente i simboli specchio di ideali fissati ed invasati. Tuttavia tale proposta non esonererebbe gli atei, in quanto anch’essi potrebbero creare un proprio simbolo (pacifista e inoffensivo).
L’unica alternativa che riesco a distinguere sarebbe quella di spogliare i muri scolastici da ogni simbolo religioso. Tutti o nessuno! È un principio fondamentale per garantire maggior giustizia possibile: accontentare tutti o, nel caso in cui ciò non si possa verificare, l’opzione coinciderebbe con l’inappagamento generale.
Nessuno sembra interessato ad assicurare una piena convivenza all’interno dell’umanità e in primis tra le religioni.
Se da una parte la Corte di Strasburgo sembra salvaguardare più che la laicità dello stato gli interessi degli atei, dall’altra i ministri italiani tentano esclusivamente di tutelare la religione cristiana cattolica. Lo stesso Marco Travaglio che scrive l’articolo “Ma io difendo quella croce”, pubblicato il 5 settembre 2009 sull’editoriale “Il fatto quotidiano” attacca le tesi sostenute dal governo italiano. Feltri, Bersani, Berlusconi, Gelmini, leghisti, ministri che parlano e straparlano, abbozzano incomplete definizioni per difendere la croce, senza neppure considerare il fatto che per la costituzione italiana il crocifisso è un semplice “arredo scolastico”. Travaglio precisa come nemmeno la Santa Sede riesca a sottolineare l’immagine a cui il crocifisso rimanda. Quella, appunto, di un uomo torturato, sacrificato sulla croce per noi. È il simbolo stesso dell’umanità, della libertà e della giustizia. Non ha pertanto alcun senso scagliarsi contro Cristo, rappresentato con un muto, innocente, inoffensivo pezzo di legno. La sua figura tace, non genere alcuna discriminazione, anzi è emblema della sofferenza, uguaglianza e speranza.
Sono pienamente d’accordo con quanto afferma Travaglio, anche se egli non sembra cogliere il fatto che il crocifisso non sia l’unico simbolo esistente. Tutte le religioni possiedono statuette, immagini, testi simbolici con significati ugualmente profondi, spesso simili a quello dello stesso crocifisso. Dalla Ruota del Dharma buddista, alla stella di David ebraica, alla Mezzaluna islamica, all’Omkar induista, allo Yin e Yang taoista… ed è proprio diritto di questi simboli, tutti inoffensivi, avere un piccolo ma significativo posticino sulle pareti scolastiche. È infatti importante che i bambini , i ragazzi conoscano fin dai banchi di scuola i significati di tutti i simboli religiosi, aldilà delle loro credenze e di quelle delle loro famiglie, affinché si diffondano gli ideali basilari di tolleranza e liberalità.

venerdì 15 ottobre 2010

Francesetti testo argomentativo traccia 2

Il crocefisso nelle aule
Tradizione o obbligo?
Si chiama Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, la donna che ha portato il caso del crocefisso nelle aule sulle prime pagine di molti giornali. Pare infatti che volesse che la croce fosse tolta dalle classi dei suoi figli e che dopo essersi rivolta inutilmente al Tar del Veneto, alla Corte Costituzionale e al Consiglio di Stato, sia stata la Corte europea dei diritti dell’uomo a darle ragione.
Questa notizia ha suscitato più in Italia che in ogni altro stato europeo clamore: tutti i politici del nostro paese (fatta eccezione per la Sinistra Radicale) si sono espressi negativamente riguardo questa decisione. Ad esempio il ministro dell’istruzione, Maria Stella Gelmini, come anche Pier Ferdinando Casini, pare trovino nel crocefisso un simbolo della tradizione italiana; viene allora da chiedersi perché non appendere anche una simpatica collana di cipolle: in fondo anche questo è un tipico emblema del bel paese, e sicuramente non ha fatto piangere quanto la Chiesa.
Il Vaticano si è mostrato amareggiato da tale decisione, ritenendo la croce un’importante parte del nostro patrimonio; il quotidiano “L’Unità” ha poi affermato che questo simbolo è una parte della storia del mondo intero: ritengo che non ci sia nulla di più vero, bisogna però prestare attenzione all’abissale differenza che corre tra il messaggio della Chiesa (che si è spesso rivelato discriminatorio nel passato) e quello di uguaglianza e amore tra gli uomini, diffuso da Gesù (a parer mio, geniale).
"Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io." Esordisce così Marco Travaglio, noto giornalista, uno dei pochi a fornire un paio di occhiali ai miopi italiani. Egli ritiene che per il messaggio che porta con sé, non ci sia nulla di sbagliato nell’appendere due asticelle di legno nelle classi delle scuole italiane; d’altronde, quale italiano sarebbe contrario a un oggetto simbolo di pace e fraternità umana? Quindi, viene spontaneo chiedersi, perché tanto clamore? Forse è perché purtroppo porta con sé ideologie e mentalità bigotte (basti pensare alla rigidità dimostrata dalla “Santa” Sede nei confronti di omosessuali, divorziati…), che alcune famiglie italiane preferiscono non inculcare ai propri figli perché non proprio coincidenti con quelle professate da Cristo.
Guardando al di là di tutti queste opinioni, penso che la libertà venga prima di tutto riguardo questioni simili: per evitare discussioni bisognerebbe forse lasciare una parete bianca, da riempire con tutti i simboli religiosi e non, che ogni alunno sarebbe libero di appendere, a condizione che essi non siano offensivi nei confronti di nessuno. Non credo che imporre leggi che non potranno mai calzare a pennello con gli svariati problemi di oltre 60 milioni di persone abbia mai portato risultati positivi, quindi dovremo probabilmente lasciare libertà di "app(r)endere" ciò in cui si crede.

RICHIARDI - TRACCIA 4

Caccia: si o no?
Giusto praticarla o meglio abolirla?

Fin dai tempi più antichi, l'uomo per procurarsi cibo, cacciava gli animali selvatici, perché non conosceva ancora l'allevamento. Poi l'uomo incominciò ad allevare gli animali e questo gli permise d'avere dimora fissa e la caccia non fu più indispensabile. Pertanto ora la caccia non è più praticata per procurarsi cibo, ma per divertimento e sport e di conseguenza nasce il dibattito se la caccia vada difesa o abolita. Per 7 italiani su 10 andrebbe abolita, infatti, legata alla cacciagione, c'è l'estinzione di alcune specie animali e viene comunque ritenuta un pratica incivile carica di violenza. A causa della caccia la scomparsa di una sola specie costituirebbe un danno irreparabile per tutti gli esseri viventi. Per evitare questo, bisognerebbe abolire la caccia, anche se questo causerebbe danno all'industria che produce armi e abbigliamento, con diminuzione agli addetti a quel settore. Secondo altri (un italiano su 10) la caccia va difesa perché non danneggia l'ambiente, ma elimina alcune specie d'animali che danneggiano l'agricoltura. Secondo questi sostenitori, i cacciatori non si limitano a cacciare, ma effettuano ripopolamenti della selvaggina e curano l'ambiente. Essi affermano che non sono loro a causare la scomparsa della fauna, perché sono interessati alla conservazione degli animali, quindi le vere cause sono l'inquinamento e gli insetticidi. Un aspetto decisamente peggiore e ben più grave è rappresentato dal bracconaggio: questi cosiddetti “cacciatori” uccidono gli animali che vivono nelle riserve e che sono specie protette, compiendo delle vere e proprie stragi sia verso gli animali che verso l'ambiente. Ne sono un esempio i bracconieri che ammazzano rinoceronti ed elefanti esclusivamente per ricavarne l' avorio dalle zanne, e venderlo magari al mercato nero. Con questo si vuole dimostrare che la caccia illegale è un pericolo per l'equilibrio terrestre. È ingiusto quindi voler abolire la caccia, soprattutto nei confronti di chi svolge la caccia rispettando l' ambiente; il vero problema è il bracconaggio, causa principale del rischio d' estinzione di molte specie.
La diatriba se mantenere e regolamentare la caccia o abolirla del tutto è sempre stata molto accesa e recentemente in questa lotta ha preso parte Michela Vittoria Brambilla, come si evince da un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Giorno” del 14/05/2010. Queste sono le sue parole: “Non solo si può, ma si deve abolire la caccia; i cacciatori si rassegnino. Non credo che una minoranza di 710mila persone possa rivendicare con arroganza la libertà di uccidere animali indifesi, cosa inaccettabile per la stragrande maggioranza degli italiani». È durissima, il ministro del Turismo: «Non è degno di un Paese civile uccidere per sport. Chi non rispetta gli animali non rispetta neanche gli esseri umani». E un pensiero va alle famiglie dei due volontari animalisti freddati in Liguria, tragedia scatenata «dalla mancanza di rispetto per la vita». Resta il fatto che l’abolizione delle attività venatorie è al primo punto di un manifesto lanciato dalla Brambilla con l’oncologo Umberto Veronesi da Palazzo Reale, a Milano. L’iniziativa si chiama «La coscienza degli animali» e ha già un sito internet (www.lacoscienzadeglianimali.it), il plauso degli animalisti (Lav e Wwf) e nove interpreti pronti a metterci parole e faccia.
Secondo me la caccia non va abolita, nonostante sia un amante degli animali. Certo, ci sono modi e modi di cacciare, ed è per questo che non deve essere vietata: infatti vi sono cacciatori che la svolgono onestamente e con rispetto, i veri appassionati insomma. C'è invece chi la pratica con metodi spietati, coloro cioè che non ritengono questo “sport” una passione e un modo di stare in mezzo alla natura.

PAPURELLO- testo argomentativo- tema 1

L’ Italia vuole il velo?
Burqa non gradito.



In Francia è stato approvato il divieto di indossare il burqa e il niqhab in luoghi pubblici: «Vivere la Repubblica a viso scoperto è una questione di dignità ed uguaglianza» afferma il ministro della giustizia francese Michele Alliot-Marie.
Immediata è la reazione dell’ Italia che presenterà un disegno di legge esattamente identico alla legge dello Stato francese e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, dichiara «Il divieto di burqa è giusto, opportuno e doveroso».
All’ origine del divieto del velo non vi è una questione di carattere religioso, la Repubblica Italiana rispetta la religione, qualunque essa sia, degli altri paesi ed essa è sancita dall’ articolo otto che garantisce libertà di culto. In Francia, non si è vietato di indossare lo chador o l’ hijab, ma solo quei tipi di veli che coprono integralmente il volto: si tratta infatti di motivi relativi all’ ordine pubblico.
Dietro il velo si potrebbe nascondere un criminale, in tal modo non riconoscibile e bisogna anche prendere in considerazione il fatto che in Italia è già in vigore una legge costituzionale che vieta di andare in giro mascherati.
Tuttavia non tutte le donne musulmane sono obbligate a indossare il velo e solo in alcuni paesi, legati ad aree geografiche del mondo, vi è la costrizione ad aderire a questo codice di abbigliamento dettato dalla religione di Allah: si tratta dunque di un segno di obbedienza a Dio e non all’ uomo, a cui la donna puo’ scegliere o non scegliere di aderire. Anzi, coprire, anche in modo integrale, alcune parti del corpo è simbolo di liberazione dalla schiavizzazione della donna da parte dell’ uomo.
Non tutte però hanno questo privilegio di scelta, legato a una lunga tradizione gerarchica, e molte giovani donne sono costrette dalla propria famiglia a osservare la religione islamica.
E’ dunque evidente che il velo è simbolo di sottomissione della donna all’ uomo, la quale è educata a questo atteggiamento fin da ragazzina. Nei paesi musulmani la dignità della donna è completamente ignorata e non è un caso che in proprio in questi paesi essa venga sgozzata, lapidata e non rispettata.
Oltre a vietare l’ uso di questo tipo di capo, simbolo di abnegazione della propria persona e di quella altrui, si dovrebbe anche istituire un corso di educazione civica perché è irrispettoso nei confronti di coloro che tanto hanno fatto per portare al pari dell’ uomo, con eguali diritti e doveri, la donna.
Il divieto di velo dovrebbe dunque essere introdotto anche in Italia perché poco importa se ciò significa inasprire relazioni interculturali già di per sé complesse o avere un atteggiamento di favore nei confronti di quei paesi come l’ Africa Subsahriana, dove non vige l’ obbligo di indossare il burqa per la donna Occidentale.
Il dovere più importante per lo Stato è garantire l’ ordine pubblico e la sicurezza delle persone e anche, soprattutto, la personalità di ogni singolo individuo anche se questo comporta calpestare una tradizione secolare.

Osella Bon Alessandro Traccia 1

Il burqa è un indumento femminile tradizionale di alcuni paesi di religione islamica; questo abito è un mantello che copre integralmente il corpo della donna volto compreso, alcuni tipi hanno una feritoia all’altezza degli occhi, altri una retina. Ci sono anche altri tipi di velo: il chador che è il tradizionale copricapo delle donne iraniane, tenuto chiuso sotto il mento, simile a un mantello che si allunga fino ai piedi; un altro tipo è l’hijab un foulard che copre la testa e le spalle lasciando scoperto il viso; infine vi è il niqab di origine arabica, composto da due pezzi uno che copre naso e bocca e un altro che copre i capelli e la parte superiore del busto. L’uso di questo capo è stato introdotto agli inizi del 1900 in Afghanistan durante il regno di Habibullah che lo impose alle duecento donne del suo harem; inizialmente chiunque era libero di non farne uso ma successivamente con il regime dei Talebani divenne obbligatorio. Recentemente, grazie ad una legge proposta dal partito di maggioranza, la Francia è diventata il primo paese europeo a censurare il burqa su tutto il territorio nazionale. Uno dei principali motivi di questo provvedimento è l’obbligo per ogni cittadino di essere riconoscibile nei luoghi pubblici, soprattutto in caso di manifestazioni; un altro motivo per cui l’uso del burqa dovrebbe essere vietato è che esso è soprattutto contrario ai concetti fondamentali di uguaglianza dei sessi. E’ però necessario dire che l’usanza del velo è antica e riguarda in prevalenza la sfera religiosa infatti sia nel Nuovo Testamento che nel Corano vi è scritto che l'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell'uomo,infatti,non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo, né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza. L’uso di questo indumento fa ancora oggi parte della tradizione islamica e dovrebbe essere uno dei compiti dello stato quello di preservare le tradizioni ma nei paesi europei è una cosa al limite della legalità perché è in contrasto con alcune leggi. Nel nostro paese è stata creata una legge del 1975 che recita: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”.L’Italia è divisa per quanto riguarda questo tema;alcune persone credono che non sia giusto abolire l’uso del burqa perché si andrebbe contro la libertà religiosa, questa è la tesi sostenuta dalla sinistra. Contrariamente a questa opinione la destra è favorevole alla normativa approvata in Francia in quanto ritiene più importante garantire la sicurezza. Secondo me questa legge dovrebbe essere approvata in Italia però con delle attenuanti come per esempio la sostituzione del burqa con l’hijab che consentirebbe sia la libertà di culto che l’identificazione dell’individuo in modo tale da poter evitare problemi di ordine pubblico; in questo modo i paesi a religione islamica non avrebbero modo di interpretare questa legge come una discriminazione religiosa nei loro confronti. Penso inoltre che ci si debba adeguare alle abitudini e alle leggi dei paesi in cui si vive.

REVIGLIO-TESTO ARGOMENTATIVO-TEMA 1

Burka: vietarlo può rendere più facile la convivenza con la comunità islamica?

Il burka è una questione che deve essere risolta dagli islamici.



Il velo è un indumento in uso nella tradizione del popolo islamico e viene indossato dalle donne per coprire il proprio corpo dagli sguardi degli uomini fuori dal nucleo familiare. Diversamente da come si può pensare il velo non è imposto dal Corano, ci sono sì passi di cui ne parlano ma è più che altro un’ usanza legata alla tradizione dei popoli arabi.
Bisogna però fare un’ attenta differenzazione dei diversi tipi di velo. Ci sono veli che non coprono il volto, come l’ abava e il chador, in uso in medio oriente, l’ haik, tipicamente nord africano, e l’ hijab, il più utilizzato in Europa, e invece veli che coprono l’ intera figura compreso il viso, il burka e il niqab. Questi ultimi sono i due veli che negli ultimi anni hanno generato non poche discussioni in tutti gli stati europei, ma sono pochi i provvedimenti legislativi attuati nei loro confronti.
Infatti solo alcuni stati come la Francia, il Belgio e la Svezia hanno deciso di vietarne l’ uso ma solamente nei luoghi pubblici, tra cui la scuola, senza però risolvere interamente il problema. In Italia la discussione è ancora aperta e alcuni politici, come il presidente della Camera Gianfranco Fini, si sono dimostrati favorevoli al divieto sostenendo che il burka violerebbe la dignità della donna.
Però a questo punto si presentano alcune problematiche: realmente tutte le donne islamiche sono contro all’ utilizzo del burka?. Probabilmente no. Avendo vissuto in una società, quella islamica, che ne impone l’ utilizzo come dovere nei confronti della religione, per molte donne islamiche é naturale portare il burka o il niqab. Anzi, alcune lo indossano per sottolineare la propria volontà di essere accettate per ciò che sono. Se portarlo verrà vietato in qualsiasi luogo, non verrà anche violata la libertà di scegliere come vestirsi e di come affermare i valori della propria tradizione di queste donne? A questo punto vietarlo sarebbe un delitto alla pari dell’ imporlo.
Molti inoltre sostengono che il burka e il niqab devono essere vietati per ragioni di sicurezza comune. Queste due tipologie di velo, coprendo interamente il viso, non permettono di riconoscere il volto delle persone che li indossano che quindi potrebbero più facilmente commettere crimini senza poi essere riconosciute. C’è però solo una legge della Costituzione italiana che tratta questo argomento, e questa vieta l’ utilizzo di caschi protettivi o qualsiasi altro indumento utilizzato per coprire il volto ma solo se in mancanza di un motivo giustificato. La matrice religiosa è stata reputata dal Consiglio di Stato un valido motivo per poter circolare con il velo sul volto.
Il mio parere è che sul velo non si può attuare alcun provvedimento senza scontentare qualcuno. Infatti sarebbe sbagliato vietarlo per motivi di libertà personale poiché proprio vietandolo si scongiurerebbe la libertà di indossarlo. Per cui è inutile proclamarsi difensori della dignità delle donne se poi si discriminano altre donne. Probabilmente coloro che sostengono queste argomentazioni in realtà vogliono semplicemente uniformare alle abitudini del mondo europeo tutte le popolazioni extra-comunitarie, sostenendo anche che il burka sarebbe un muro che genera separazione tra europei e islamici. Non credo che una persona debba fermarsi alle apparenze, colui che lo fa è in errore e quindi non può pretendere che un’ altra persona cambi il suo aspetto per facilitarsi l’ integrazione. Invece sono d’ accordo con chi sostiene che il burka e il niqab siano una problematica per la sicurezza. Immagino ad esempio l’ impiegato di banca che si vede arrivare una persona con il volto e il corpo coperti da un velo. Questi non sarebbe in grado di riconoscere la persona coperta, che potrebbe essere anche un uomo e quindi anche un rapinatore.
Sostengo che l’ Europa non dovrebbe agire in alcun modo contro l’ utilizzo del velo, ma dovrebbe essere il popolo islamico a superare questa tradizione inutile e ingiustificata. Inoltre, probabilmente, noi europei non avremmo alcun problema a concederne l’ uso se gli arabi ci trattassero come noi cerchiamo di trattare loro.

TESTO ARGOMENTATIVO-tema 4

ABOLIRE LA CACCIA: UN PASSO VERSO UNA SOCIETÁ PIÚ CIVILE
LA COSCIENZA DEGLI ANIMALI CONTRO LA CACCIA

“Il primo diritto degli animali è il diritto alla vita.
Infliggere loro sofferenze per crudeltà, o peggio per divertimento, è un atto di violenza e un segno d’arretratezza morale che non fa parte del mondo civile”. Queste sono le parole del manifesto “La coscienza degli animali, promosso dall’attuale ministro del Turismo Michela Brambilla e dallo scienziato Umberto Veronesi per contrastare il fenomeno del maltrattamento degli animali. Cercando di sensibilizzare la popolazione riguardo a quest’argomento, è stata data particolare attenzione ad alcuni problemi, come la vivisezione per scopo scientifico, l’abbandono durante la stagione estiva, l’utilizzo d’animali nei circhi, la strage di capretti e agnelli per la Pasqua, il trasporto di animali da macello in condizioni vergognose. Particolare attenzione è stata rivolta al problema della caccia.
Se poteva essere considerata un’attività legittima, quando veniva praticata dall’uomo per il suo sostentamento, oggi viene considerata come un vero e proprio sport anche se è difficile considerare “sport” un’attività in cui si uccide per puro divertimento.
“Non è degno di un Paese civile uccidere per sport, spesso con metodi crudeli, esseri viventi ignari e indifesi”ha affermato il ministro Brambilla nel corso del suo intervento tenuto alla Giornata per la Coscienza per gli animali, il 13 maggio 2010.
È dunque giusto legittimare la caccia?
Sette italiani su dieci sono fortemente contrari alla caccia, due non prendono una posizione decisa, uno è a favore. Questi sono i dati confortanti emersi dall’indagine condotta, nelle 13 regioni al voto, da numerose associazioni animaliste e pubblicata dal quotidiano “La Repubblica” del 7 marzo 2010, segno che gli italiani stanno acquisendo una sensibilità maggiore in merito all’argomento.
I cacciatori per difendere la loro posizione sostengono che, senza il loro intervento, il numero di alcune specie oggetto di caccia aumenterebbe in modo spropositato, causando così danni come il danneggiamento delle colture e incidenti stradali; tuttavia tali sconvolgimenti naturali sono dovuti all’eccessivo intervento dell’uomo sull’ecosistema.
Oltre a ciò i cacciatori per giustificare la loro attività sottolineano che anche chi si dichiara contrario alla caccia spesso non disdegna un piatto di carne. In realtà c’è differenza tra macellare un animale secondo determinati criteri di legge e allevare animali per liberarli nella stagione venatoria per il puro divertimento di ucciderli a fucilate.
È auspicabile che in un futuro non troppo lontano si arrivi all’abolizione della caccia; ciò sarà possibile nel momento in cui la società avrà assunto piena consapevolezza della necessità di tutelare gli animali e l’ambiente, facendo un passo avanti verso la civiltà.
A questo proposito è significativa la conclusine del Manifesto “La Coscienza degli animali” che invita a una riflessione su questo tema molte volte dibattuto ma mai giunto ad una risoluzione definitiva.
“Gli animali nascono uguali davanti alla Vita e per questo hanno il diritto di essere rispettati.
Rispettando gli animali, rispettiamo noi stessi, la natura di cui facciamo parte e, soprattutto, rispettiamo il valore della Vita”.

BENZO - testo argomentativo - tema n 1

Si al divieto del burka
Burka: indumento che elimina la libertà delle donne

La Francia è il primo stato europeo che ha messo al bando il velo integrale islamico ( burka ) su tutto il territorio nazionale, incluse strade e piazze, nonostante il parere negativo del consiglio di Stato. Questo provvedimento, solamente nelle scuole, è in vigore anche in Belgio e il ministro della giustizia spagnolo ha annunciato che in autunno farà rientrare nella "Legge sulla Libertà Religiosa e di Coscienza" il divieto del burqa. In Italia si sta prendendo in considerazione la proposta di questa legge. Insomma, questa ondata di provvedimenti si sta diffondendo in tutta Europa.
In molti si chiedono: ma che fastidio può dare una donna che sceglie liberamente di indossare il burqa? Dipende. Intanto, perché andrebbe chiarito se la scelta è davvero “libera” e “volontaria”.
Io sono a favore di questa legge, principalmente perché il burka viola il diritto di libertà delle donne mussulmane. Esse sono infatti coperte integralmente e mi fanno quasi pena, poiché sembrano costrette vivere in una prigione ambulante. E’ una vera oppressione e non penso che sia frutto di una libera scelta. Queste sono condizionate dalle tradizioni e dal contesto famigliare in cui si ritrovano a vivere.
L’intellettuale marocchino Tahar Ben Jelloun, di fama internazionale, nel suo articolo “Perché le donne velate sono un insulto all’Islam” ha dichiarato:” si rende invisibile la donna per impedirle di esistere socialmente, sessualmente ed economicamente . È anche prova di grande ignoranza. Allah ha dato all'uomo non solo il suo libero arbitrio, ma lo ha reso responsabile delle sue azioni. Così, il marito che rende sua moglie un fantasma nel nome dell'Islam è un ignorante che offende la parola di Dio. Pensa, coprendo sua moglie, di essere devoto all'Islam. Errore, uccide in lei ogni libertà, cosa che Dio non gli perdonerà”.
Nella stessa direzione è andato il pronunciamento del grande imam dell’Università di al Azhar del Cairo, chiarendo che indossare il niqab, e quindi anche il burka, ''e' un'abitudine che non ha nulla a che fare con la religione”.
Quindi l’uso del burqa e del niqab è una barbara costumanza introdotta da frange estremiste che vogliono fare politica sulla testa delle donne, piegando il credo religioso a un’ideologia che non ha nulla a che vedere con la professione del culto.
Casi in cui la donna è privata di ogni diritto civile e forma di libertà avvengono ogni giorno in Medio Oriente. Con l’avvento al potere dei talebani, ossia gli integralisti islamici, le donne, prigioniere del burka, non possono frequentare scuole o università. La casa diventa il luogo della loro segregazione. Private anche delle cure mediche, i mariti hanno potere di vita o di morte su di loro. Gli uomini, in genere, possono scegliere di lapidare o malmenare una donna, spesso a morte, se osa mostrare solo un centimetro di pelle dal burka. Altre punizioni cui sono soggette le donne sono le fustigazioni e le amputazioni.
Tuttavia, oltre alla libertà negata, rilevante è anche la pretesa dello Stato, che, per motivi di difesa e di sicurezza, ha interesse che tutti i cittadini girino a volto scoperto. Il cittadino deve essere in ogni momento identificabile dalle forze dell’ordine. Nel nostro paese è in vigore una legge che recita: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Inoltre la riconoscibilità delle persone deve essere garantita, tanto più a fronte del rischio internazionale collegato al terrorismo. E’ altrettanto giusto che chi decide di vivere in un altro paese deve accettare le regole e gli usi di quel luogo.
In conclusione, è giustissimo vietare il burka, sia per motivi di sicurezza sia per restituire la libertà alle donne schiave delle tradizioni e dell’autorità degli uomini.

MAFFEI-TESTO ARGOMENTATIVO-TRACCIA N°2

E’ GIUSTO APPENDERE IL CROCIFISSO IN CLASSE?

SIMBOLO DI LIBERTA’



“Io dico che questa Europa del Terzo Millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute e ci toglie i simboli più cari. Questa è veramente una perdita”. Lo ha detto il segretario di Stato Vaticano, Cardinal Torcisio Bertone, riguardo la sentenza di Strasburgo. Tale sentenza afferma infatti che il crocifisso appeso nelle aule scolastiche è una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni.
La Corte Europea ha espresso il suo giudizio in seguito alla vicenda giudiziaria di una cittadina italiana di origini finlandesi, Soile Lautsi Albertin, convinta del fatto che la presenza del crocifisso in classe fosse contraria a quella laicità che è riconosciuta dallo Stato. La battaglia legale iniziò nel 2002; i figli della signora Lautsi frequentavano l’Istituto Statale “Vittorino da Feltre” di Abano Terme (Padova) e, in seguito alla negata richiesta di togliere i crocifissi dall’aula, la signora denunciò il fatto prima davanti al Tar del Veneto, poi presso la Corte Costituzionale e, in ultimo, davanti al consiglio di Stato.
Il governo italiano ha fatto ricorso alla “Grande Chambre” dei sette giudici autori della sentenza, per il fatto che, come spiega Maria Stella Gelmini, “il crocifisso è un simbolo della nostra tradizione e nessuno riuscirà a cancellare la nostra identità”. Ciò che vogliono sottolineare i politici italiani è che il nostro Paese è stato culla della Chiesa Cattolica, scenario della sua evoluzione, essa ha avuto un ruolo di primo piano per molti secoli della nostra storia politica e religiosa. Per questo motivo si può dire che il simbolo del crocifisso nelle aule rimandi a un significato culturale piuttosto che religioso, è parte integrante della tradizione; d’altronde anche l’azzurro, colore nazionale italiano, ha una sua origine cristiana: risale al 1366, quando il conte Amedeo VI di Savoia volle che sulla sua nave ammiraglia sventolasse una grande bandiera azzurra in omaggio alla Madonna.
Spesso si dimentica che valori e simboli fanno parte del bagaglio di tutti i cittadini, credenti e non. Infatti il crocifisso, oltre che rappresentare la “stella polare” della fede cristiana, è l’emblema del supplizio di un uomo che ha dato la sua vita per difendere valori che oggi possiamo ritenere universali, ovvero la tolleranza, la fratellanza, l’accoglienza, la difesa dei deboli, l’amore verso il prossimo, di qualunque razza o religione esso sia. Tutti questi principi sono fondamentali per costruire uno Stato in cui i diritti dell’uomo vengano garantiti e rispettati. Perciò, a mio parere, l’esposizione del crocifisso non rappresenta una limitazione della libertà religiosa, bensì una valorizzazione di questa, proprio in base a quello che afferma il messaggio cristiano del rispetto del diverso e dell’amore verso ogni essere umano, messaggio che è testimoniato e incarnato da quell’uomo crocifisso. Lui è lì silenzioso che osserva, ascolta e soffre per questo mondo che ha creato con tanto amore, senza imporre niente a nessuno, in nome dell’assoluta libertà che ha lasciato ad ognuno di noi.
"Ora, il Signore è lo Spirito; e dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà" (2 Corinzi 3,17).

MERLO - TESTO ARG. - Testo n° 1

“ABOLIRE IL BURQA IN PUBBLICO:

“ ANCHE IN ITALAI BISOGNA VIETARE L’USO DEL VELO INTEGRALE”

E’ di pochi giorni fa la notizia che in Francia il parlamento ha emanato una legge che vieta alle donne islamiche di indossare il velo integrale in tutta la nazione, inclusi i luoghi pubblici, nonostante il disagio espresso dalle comunità musulmane presenti sul territorio francese.

Oltre alla Francia anche altri paesi hanno adottato delle norme che prevedono sanzioni per le donne che indosseranno il burqa in pubblico. In Europa, il Belgio è stato il primo paese a introdurre una normativa che punisce le donne che nascondono la propria identità con il velo integrale.

Anche l’Italia sta pensando di adottare la stessa linea di pensiero francese e belga, ma a questo punto sorge un dubbio: è giusto vietare l’uso del burqa, simbolo della cultura islamica?

I pareri sono contrastanti.

Nella tradizione musulmana esistono vari tipi di veli, infatti a seconda della zona geografica le donne portano un diverso copricapo.

L’usanza di coprirsi il capo con un velo è antichissima: già nella mitologia classica le divinità venivano rappresentate con il capo coperto e anche nello stesso cristianesimo la Madonna e le sante sono raffigurate con il capo velato e ancora oggi le suore portano il velo. Sia nel Vangelo che nel Corano vi sono riferimenti al velo e al fatto che le donne debbano coprirsi il capo per poter pregare Dio; le donne ebraiche per poter entrare nella sinagoga devono coprirsi il capo.

I tipi di velo più diffusi sono: il burqa, un mantello di origine afgana che copre interamente il volto e il corpo della donna, nascondendone anche gli occhi; il niqab sempre integrale ma che lascia scoperti gli occhi; il chador, velo iraniano usato dalla donna quando si fa vedere in pubblico, è chiuso sotto il mento e si allarga poi fino ai piedi; l’hijab un foulard che copre il capo e capelli, lasciando scoperto il viso.

In Italia nessuna legge vieta esplicitamente alle donne musulmane di portare il burqa o un qualsiasi tipo di velo che copra interamente il volto; vi è però l’articolo numero 152 del 22 maggio 1975 che vieta l’utilizzo di portare caschi o copricapo che rendano difficile o addirittura impossibile il riconoscimento della persona in un luogo pubblico.

Molti politici italiani vorrebbero seguire l’esempio di Nicholas Sarkozy e varare una legge che impedisca l’uso del velo integrale.

Vi sono però pareri contrari sia in Francia che in Italia; secondo la senatrice PD Vittoria Franco “Vietare il burqa per legge è sbagliato perché controproducente. In questo modo si rischia di segregare le donne in casa, rendendole ancora più sottomesse all’uomo”.

Nel mondo islamico, una società tipicamente patriarcale, le donne sono considerate alla stregua di oggetti e sono da sempre vittime dei soprusi degli uomini. L’uguaglianza tra uomini e donne è un concetto ancora molto lontano.

Personalmente ritengo che sia giusto promuovere una legge che vieti di indossare il velo integrale non solo per una questione di sicurezza, poiché qualsiasi persona potrebbe nascondersi sotto un burqa o un niqab per commettere azioni criminose, ma anche perchè il velo integrale fa diventare la donna una persona senza identità, irriconoscibile a qualsiasi compresi i famigliari; il burqa non è un simbolo religioso ma un simbolo politico portato dalle donne perché obbligate dai mariti ( nella stragrande maggioranza dei casi) che lo ritengono la vera rappresentazione dell’Islam.

BONAVERO - TESTO ARG - tema n. 1

Burqa:religione al servizio dell'oppressione femminile
No al Burqa:rischio diplomatico o rivendicazione di libertà?

Innanzitutto ci tengo a precisare che secondo me nessuno ha il diritto di manifestare la propria ideologia più di uno straniero solamente perché la propria cultura è più radicata nel passato storico della nazione in cui si vivono entrambi.
Non intendo perdere tempo a considerare posizioni che rivendicano “diritti di precedenza” della propria cultura nei confronti di un’altra perché in uno Stato i cittadini sono tutti sullo stesso piano in quanto a diritti e doveri.
La questione europea del divieto del Burqa ha sollevato cori di protesta e di approvazione anche in Italia, dove le opinioni contrastanti degli schieramenti politici rispecchiano quelle della popolazione.
La pratica di indossare il Burqa nei Paesi islamici ha significati non solo religiosi ma è radicata nella loro storia culturale; sappiamo tutti quanto sia difficile estirpare pregiudizi che portano a discriminazioni oppressive (come il sospetto e la gelosia morbosa verso la donna) dalla mentalità radicale di una delle maggiori comunità al mondo. Spero che la cultura islamica abbracci al più presto il concetto dell’ igtihad, lo sforzo interpretativo dei testi sacri: purtroppo molti radicali sono contrari alla revisione della propria interpretazione e ciò si ripercuote su usi e costumi quotidiani della loro comunità.
A mio avviso è necessaria l’emancipazione da entrambe le parti: il riconoscimento di diritti fondamentali come l’uguaglianza e la libertà individuale da parte degli islamici radicali, e un adattamento delle leggi dello Stato italiano per tutelare le nuove cittadine spesso sottomesse all’autorità maschile della famiglia, senza dubbio una “gerarchia diversa dallo Stato”, come precisato dal Presidente della Camera Fini e sul blog “Giornalettismo”.
Il divieto del Burqa integrale non è così estraneo alla cultura islamica, infatti nel 1961 (prima del regime talebano) anche l’Afghanistan lo impose alle pubbliche dipendenti; è essenziale ricordare che in questo modo non le si spoglia della loro identità perché secondo la loro cultura religiosa ci si può ricoprire con differenti tipi di velo. Nell’ambito dell’insegnamento pubblico il divieto è in vigore anche in Svezia poiché si ritiene che l’educazione sia basata sulla comunicazione, altrimenti ostacolata dall’assenza della gestualità e dell’espressività del viso (non posso fare a meno di condividere l’opinione ricordando come l’occhiata di un professore possa essere carica di significato, il chè fa parte dell’esperienza comune).
Naturalmente ci sono molte critiche a questa proibizione, sostenute da motivazioni che riterrei anch’io molto valide, se non fosse che la difesa dei diritti umani deve essere posta davanti a tutto il resto.
Infatti è possibile che un tale provvedimento rischi di peggiorare le relazioni con i Paesi islamici in ambito diplomatico facendo un “regalo agli integralisti” (come temono molti socialisti francesi), o di “stigmatizzare l’Islam, espressione coniata dal CFCM (Conseil français du culte musulman).
Ciò che rischia di far vacillare la mia opinione è la tesi del partito “Sinistra Ecologia e Libertà” secondo cui “a norma di legge non sarà mai possibile modificare comportamenti radicati nella culture di origine. Ề il limite di ogni civilizzazione: ti impongo la mia verità con la violenza per il tuo bene”.
Tuttavia ci terrei a precisare che non considero il divieto come una manifestazione di ciò che può essere definito “fondamentalismo laicista” o come una reazione alla paura dalla “degradazione morale portata da influenze straniere” (come accusato in AnellidifumO’s blog); io stessa non condivido l’opinione xenofoba della Lega secondo cui il Burqa “è una pratica che non fa parte della cultura dell’UE”, dunque da bandire, perché se lo Stato è formato dai cittadini allora deve adeguarsi all’eterogeneità del tessuto sociale.
Anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è sottolineata la “libertà di manifestare sia in pubblico che privato, la propria religione e il proprio credo” (art. 18) , tuttavia questa è limitata “per assicurare la libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale” (art. 29). Infatti per questioni di sicurezza in Italia vige l’obbligo di essere sempre riconoscibili come imposto dalla legge 152/1975 della Costituzione.
Chiaramente, come ricordato da “Sinistra Ecologia e Libertà”, “siamo di fronte a soggetti che devono rendere conto di sé a contesti familiari e culturali, costante riferimento della loro vita quotidiana”; noi occidentali, con la nostra moda che va e viene, noi donne del viola come colore dell’autunno-inverno 2009/2010, dobbiamo sforzarci di comprendere che qui non si tratta di un semplice cambiamento di vestiti, di un “sbatti il Burqa nell’armadio ed esci libera in strada”.
Nel Paesi islamici, con il succedersi di regimi più o meno autoritari, sono state imposte leggi contrastanti (come l'obbligho o il divieto del Burqa), ma noi abbiamo il dovere morale di intervenire e gettare luce sulle differenze che ci distinguono dai regimi basati sul terrore e sulla strumentalizzazione religiosa. Anche a costo di correre rischi diplomatici è senza dubbio di maggiore importanza la tutela di queste nuove cittadine che, percependo l’intervento dello Stato come garante della libertà individuale, favoriranno l’integrazione e saranno pronte a collaborare nell’adempimento dei loro doveri nella vita associata. In questo modo potremmo ottenere frutti sia nel rispetto delle leggi comuni sia nell’eliminare un simbolo di soprusi psicologici che spesso sfociano in violenze fisiche.

Emanuele Di Nunzio - Traccia 2

Tutto nasce da un ricorso presentato da una cittadina italiana di origine finlandese, Sig.ra Lautsi, i cui figli andavano a scuola ad Abano Terme (Padova) e che mal tollerava il fatto che nelle aule dove i figli studiavano fosse appeso alle pareti il crocefisso.
Sia il Tar che il consiglio di Stato che la corte Costituzionale davano torto alla sig.ra basandosi sul Regio Decreto 965 art 118 del 30 aprile 1924.
Di diverso avviso invece la Corte Europea dei diritti dell'uomo, la quale sostenendo che questo rappresentava un limite alla libertà religiosa, imponeva la rimozione e obbligava lo stato italiano ad un risarcimento nei confronti della signora di 5000 euro.
Lo Stato è tenuto alla neutralità confessionale lo scopo della scuola è di accrescere la capacità degli alunni a pensare.
Il Governo Italiano ha presentato immediatamente ricorso, il ministro dell'istruzione On. Gelmini sottolineava il fatto che il simbolo della nostra croce rappresenta la nostra tradizione, la nostra cultura, la nostra storia.
Il Vaticano sottolineava come la sentenza di Strasburgo rappresentasse una pesante interferenza.
Non mancavano anche però indicazioni a favore della sentenza tutti basati sul principio della laicità dello stato.
Io sono un cristiano a tutti gli effetti, sono stato educato con questi principi e con queste regole, sono cresciuto abituato a vedere il crocifisso come un segno di amore come un regalo fatto dal nostro signore.
Quando a scuola da piccolo entravo e lo vedevo mi dava pace, serenità e gioia, non ho mai pensato che il crocifisso potesse essere messo in discussione, specialmente in un nazione dove la Santa sede trova la sua dimora.
Poi poco alla volta tramite giornali e telegiornali si è cominciato a discutere sul crocifisso nelle aule scolastiche e da qui per forza uno è obbligato a riflettere.
È chiaro che la prima cosa che viene in mente è che sono a casa mia e, a casa mia, faccio quello che voglio, la nostra religione è questa e se non piace agli altri non importa, sono loro che si devono adattare; poi però non si è soddisfatti di una risposta così sbrigativa, sei obbligato a riflettere e si parte proprio dalla nostra religione che impone bene, tolleranza e rispetto del prossimo.
Successivamente si riflette sull'aspetto sociale: le persone che vengono da noi devono essere inserite con rispetto e il rispetto deve proprio partire dalla loro religione.
Allora la domanda è: cosa succede se il crocifisso non viene più appeso? Forse viene meno l'amore per il mio signore? Il mio signore ama la divisione? O non ci considera tutti fratelli?
Arrivo pertanto alla conclusione che non ho bisogno del simbolo appeso alla parete, io il crocifisso me lo porto nel cuore, e rispetto chi ha una religione diversa dalla mia l'importante è il rispetto reciproco la tolleranza e l'integrazione.
Pensare che se vado in un paese diverso qualcuno la pensa come me mi aiuta a star meglio.

giovedì 14 ottobre 2010

SAVANT AIRA - TESTO ARGOMENTATIVO - tema n 4

Crimini contro natura!

La caccia. Sin dai tempi antichi l’uomo si è dovuto cimentare in quest’attività non tanto per diletto quanto per garantirsi la sopravvivenza. Questo però ai tempi dei cavernicoli; ora, nel XXI secolo, che bisogno c’è di imbracciare un fucile e riempire di piombo un povero animale indifeso? È anche vero che ormai molti sono dell’idea che si tratti di una pratica superflua e priva di significato, per non dire orrenda e atroce per chi la subisce; tuttavia c’è ancora una fetta della popolazione mondiale che trova divertente vedere soffrire un animale e accasciarsi al suolo a gambe all’aria. Personalmente io sono sempre stato, e sempre lo sarò, un difensore degli animali, dall’odiosa medusa alla grande balena, sostenendo il loro diritto alla vita perché sono anch’essi esseri viventi. Ritengo, infatti, che colui che decida di cimentarsi in quest’occupazione abbia avuto durante la sua vita, in particolare durante la sua infanzia e giovinezza, periodi in cui si inizia a formare il carattere delle persone, un cattivo atteggiamento e una scarsa considerazione nei confronti degli animali, in quanto esseri meno dignitosi dell’uomo. Tuttavia questa colpa non è da attribuire unicamente alla persona in questione, bensì anche ai suoi genitori perché lo hanno influenzato, con i loro atteggiamenti e la loro mentalità, a seguire il loro esempio. Proprio per questo motivo un cacciatore è spesso restio ad abbandonare questa attività, che spesso svolge per puro hobby, in quanto ormai rappresenta un qualcosa di troppo consolidato nella sua natura e se qualcuno gli provasse a chiedere “ ma non provi pietà nel vedere un animale morire?” lui gli risponderà “ ma è solo un animale!”. Tuttavia, come ho già affermato, non tutti la pensano come me. È facile, infatti, durante la stagione venatoria, incontrare lungo il ciglio di una stradina di campagna vicino al limitare di un bosco un gruppetto in tuta mimetica che alle sei del mattino non ha niente di meglio da fare se non di porre fine alla vita di uno spensierato animale. Questo accade ancora oggi in un paese civilizzato come il nostro dove, tuttavia, qualcuno si immedesima ancora nella figura del cavernicolo del Paleolitico; l’unica differenza è che il secondo lo faceva per potersi sfamare, il primo per coprire un buco nella parete con una testa impagliata. Sicuramente, questa loro passione ha fondamento su antiche tradizioni talmente consolidate nella loro mentalità da non poter più essere superate. Se queste persone sono spinte da motivi legati alla loro tradizione, molti altri cacciatori sono sollecitati dal loro stesso stato che gli permette di compiere questi tremendi crimini. Basti pensare alla Cina e al Giappone, considerati tra i paesi più avanzati del pianeta Terra in ambito tecnologico ed economico ma, sicuramente tra i più arretrati per quanto riguarda il loro atteggiamento nei confronti degli animali e della natura. Infatti, in questi paesi a causa della loro cultura e soprattutto della loro tradizione culinaria, basata sul sushi, ogni anno compiono uno sterminio tra squali e delfini. In particolare sono atroci i metodi con cui questi poveri animali vengono uccisi per esempio i delfini, che vengono prima spinti all’interno di insenature o piccoli golfi; dopodiché gli viene chiusa l’unica via di fuga e poi dall’alto, da delle piccole imbarcazioni, vengono trafitti con degli arpioni. Immaginatevi di assistere alla scena dall’alto e di vedere alla fine di questo massacro un mare completamente tinto di rosso in cui qualche sfortunata creatura si dimena ancora tra gli altri cadaveri. Al contrario agli squali, dopo essere stati catturati e issati sulle barche, vengono tagliate le pinne per poi essere gettati nuovamente in mare a morire. Un altro massacro che suscita l’attenzione della popolazione mondiale ogni qual volta si verifica è quello nei confronti delle balene. La caccia ai cetacei in generale si verifica anch’essa in questi due paesi, che nonostante tutto sotto altri aspetti presentano una cultura interessantissima, e in altri come l’Islanda ed entrambi sono spinti in questo loro crimine sia dalla carne di questi animali, molto ricercata nei paesi orientali, sia dal loro grasso. Infine vi è la caccia degli animali da pelliccia per esempio le foche, uccise anch’esse con metodi atroci in quanto vengono ripetutamente prese a bastonate, che si basa prevalentemente su motivi economici: infatti i cuccioli di foca, che si trovano in particolar modo nel mirino dei cacciatori poiché non sanno nuotare, sono ricercati soprattutto per le loro morbide pellicce che vengono poi esportate in Europa e nelle altre nazioni. Pertanto tutte queste persone non modificheranno mai il loro atteggiamento e la loro poca considerazione nei confronti degli animali poiché saranno sempre spinti da motivi, legati o alla loro tradizione o alla politica del loro stato, talmente consolidati che non potranno mai essere cancellati; di conseguenza continueranno sempre a perpetrare i loro crimini basandosi sulla convinzione che gli animali, in quanto tali, non possono provare alcun sentimento. Pertanto noi altri, a cui ci sta a cuore il diritto di vita degli animali, non possiamo fare altro che sperare che un giorno ricevano un’illuminazione dall’alto che gli faccia cambiare idea e fino a quel momento immagineremo la situazione opposta: loro cacciati dalle loro prede.

AIMONE - testo argomentativo - tema n 1

VELO SI O VELO NO?
VELO? MEGLIO DI NO.
In questi ultimi mesi si è spesso sentito parlare del velo islamico e di tutte le diverse problematiche che esso porta con se’. In particolare la recente legge attuata dalla Francia, ovvero il divieto di indossare il velo integrale, il burqa, in luoghi pubblici ha aperto un grande dibattito. Prima di prendere posizione, però, bisogna fare delle distinzioni riguardo ai diversi tipi di velo. Vi sono il burqua, entrato in uso all’inizio del 1900, esso copre integralmente il corpo e all'altezza degli occhi può presentare una retina che permette di vedere senza scoprire gli occhi della donna; il niquab, che anch’esso copre in modo integrale il corpo, lasciando però scoperti gli occhi; il chador, composto da una mantella e da un foulard che incornicia il viso lasciandolo scoperto ed infine vi è l’hijab, un foulard che copre i capelli. Dopo l’attuazione del decreto di legge in Francia il parlamento ha proposto di adottare un provvedimento simile anche in Italia. A mio parere l’idea di vietare, nel nostro paese, l’utilizzo del burqa nei luoghi pubblici è appropriata. Infatti ritengo che nascondere la propria persona non sia il modo giusto per cercare di integrarsi e non si applichi così il concetto di uguaglianza. Infatti ai cittadini italiani è vietato coprire il proprio corpo da una legge relativa alle norme di Pubblica Sicurezza che recita in questo modo: "È vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino." Inoltre, secondo me, incontrare per strada una persona non identificabile può anche intimorire, non sapendo chi vi è sotto quell’enorme “mantello”. Vi è però da dire che l’usanza del velo è antica e riguarda in prevalenza la sfera religiosa: infatti sia nella Bibbia ( Nuovo Testamento, in una prescrizione di Paolo) che nel Corano vi è scritto di utilizzare da parte della donna l’uso del velo come forma di decoro e anche un po’ di sottomissione: ”…L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo. E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli…”. Per questo anche in Italia, soprattutto nel meridione, non molti anni fa vi era l’uso di coprirsi i capelli, ritenuti peccaminosi, soprattutto all’interno delle chiese. Gli italiani, però, come la maggior parta dell’Europa, ha superato questa forma di sottomissione ed ora vige il concetto di uguaglianza dei sessi. Un altro motivo che mi permette di approvare il divieto del burqa è che tutti gli altri stranieri presenti nel nostro territorio, come per esempio i cinesi, una delle popolazioni che meglio si adattano alle diverse realtà, non si vestono con i loro abiti tipici ma si adattano agli usi e costumi presenti sul territorio come è giusto che sia. E’ quindi appropriato vietare il velo sia per rispetto della nostra popolazione sia della loro. Questo pensiero si sta divulgando anche negli altri paesi europei. Stanno infatti vertendo su questa opinione la Spagna, in particolare dopo il rifiuto di una donna islamica a testimoniare in tribunale a volto scoperto, il Belgio, la Svizzera, l’Olanda e la Germania che in particolare pensano di vietare il fatidico velo soprattutto nelle scuole.

Caudera-Testo argomentativo-Tema3

1) E’ accettabile costruire una moschea a Ground Zero?
2) L’America deve garantire a tutti la libertà di culto



L’attacco terroristico alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 ha spezzato 3000 vite umane,e causato migliaia di feriti. Da quel momento in poi,molti americani hanno acquisito un sentimento di sfiducia nei confronti dell’Islam,sentimento contrario all’indole tollerante tipica degli Stati Uniti;per questo motivo la notizia della costruzione di un centro islamico a pochi passi da Ground Zero ha scatenato feroci polemiche. Tra i contrari,uno dei gruppi dei familiari delle vittime dell’attentato(“9/11 Families for a Safe and Strong America”) afferma che si tratti di “un atto deliberatamente provocatorio”:il ricordo della tragedia non può essere oltraggiato in tal modo e soprattutto è importante rispettare la sacralità di quel luogo. La questione ha colpito molto l’opinione pubblica:più del 60% degli americani infatti si dichiara contrario alla costruzione del centro,atto irrispettoso nonostante sia volto a difendere la libertà di culto dei cittadini.
Inoltre tra coloro che si oppongono,troviamo anche la maggior parte degli uomini politici americani:non solo i repubblicani conservatori,solitamente sfavorevoli a soluzioni troppo accondiscendenti;ma anche numerosi rappresentanti del partito democratico non hanno esitato a criticare il progetto. Ma la reazione non si è rimasta circoscritta all’area statunitense:in particolare citiamo i giornalisti Ida Magli in un articolo de Il Giornale ed Emanuele Pozzolo su La Padania;essi insistono sulla tendenza dell’Occidente a rinunciare con troppa facilità alla tradizione culturale del nostro territorio,in onore di una libertà di religione che nasconderebbe in realtà una “volontà di predominio e di vittoria” da parte dei musulmani.
Ma come spiegare che è importante favorire il tanto desiderato dialogo tra le religioni per combattere il terrorismo? Poiché Al Qaeda è solo una distorsione della religione islamica,perché vietare di costruire un centro che rappresenta un punto di incontro per la parte più moderata? Il presidente Obama ha dichiarato: “negli Stati Uniti tutti devono essere uguali davanti alla legge, senza tener conto della razza o della religione”;non sostiene che sia la soluzione migliore,ma che sia sbagliato negare i diritti dei musulmani americani,e a non garantire quella libertà di religione di cui l’America va tanto fiera. Oltre a ciò,bisogna specificare che Islam non coincide con terrorismo,tanto meno con talebani;gli attacchi perciò sono ingiustificati e da biasimare:è proprio in questo modo che si aumenta la sfiducia nella “minoranza” islamica. Un secondo gruppo di familiari delle vittime dell’11 settembre("The September Eleventh Families for Peaceful Tomorrows") aggiunge che sia importante favorire il rispetto inter-confessionale,coerente con i valori di libertà americani. Inoltre,dobbiamo ricordare che nella zona vicina alle Torri Gemelle si trovavano e tutt’ora si trovano locali notturni come strip club e sexy shop;non si può ignorare che sono sicuramente più immorali di un progetto che mira alla tolleranza culturale. Quindi è lecito permettere la costruzione di tale centro islamico,nel rispetto delle leggi giuridiche e morali degli Stati Uniti.

VISCONTI - TESTO ARGOMENTATIVO - Tema n 1

VELO: tradizione o sottomissione?
VELo INTEGRALE: la sicurezza del cittadino viene prima delle tradizioni

Con una recente legge, il Parlamento francese ha vietato l’uso del velo integrale in pubblico; a partire da questa norma si sta discutendo in molti altri paesi se seguire l’esempio francese.
Il motivo principale che ha portato a questa decisione è prima di tutto l’obbligo di qualunque cittadino di essere riconoscibile in ogni momento, in un luogo pubblico, o comunque aperto al pubblico. Ma dietro a questo uso di portare il velo integrale vi è una lunga tradizione, in molti casi difficile da abbandonare, in ogni religione, nel passato e, nel caso della religione islamica, ancora nel presente, c’è stata la tradizione (in particolare per le donne) che comportava l’obbligo dell’uso del velo per rispetto a Dio. Possiamo quindi trovare nella Bibbia un passo del Nuovo Testamento che sottolinea come fosse importante per la donna portare sul capo un segno riconoscibile della dipendenza dall’uomo e da Dio; lo stesso nell’ebraismo all’interno della sinagoga. Questa tradizione è stata oggi abbandonata, tranne nell’abito delle suore: si tratta però di un velo che nasconde i capelli ma non il volto ( non intacca quindi la riconoscibilità della donna).
Al contrario, però, la religione islamica impone alle donne di indossare il velo in ogni momento della loro vita, tranne all’interno delle mura domestiche in cui può essere tolto.
E’ importante da parte di uno Stato garantire il rispetto di una tradizione, purchè in questo caso particolare essa nasca dalla libera scelta della donna; ma nel caso in cui il Paese da cui si viene “adottati” preveda l’obbligo di riconoscimento, è giusto che l’individuo si adatti alle norme vigenti. Soprattutto perché lo Stato non chiede un abbandono definitivo dell’uso, ma semplicemente che il burqa (ovvero un mantello, di origine afghana, che copre integralmente abiti e viso della donna) possa essere sostituito con il velo, definito come hijab (foulard che copre la testa e le spalle lasciando scoperto il viso).
Molte persone pensano, però, che essendo una libera scelta religiosa non sia giusto censurare il velo integrale: questa è la tesi portata avanti in Italia dalla sinistra. Infatti i politici appartenenti a questa fazione si sono da sempre posti l’obiettivo del rispetto di tutte le libertà, e per questo motivo attualmente sono più favorevoli a consentire alle donne islamiche di conservare questa tradizione.
Contrariamente a questo ideale la destra italiana si mostra in accordo con la norma applicata in Francia, in quanto la cosa più importante, da sempre, è garantire la sicurezza (quindi in questo caso è fondamentale che le donne islamiche siano sempre riconoscibili in luogo pubblico).
La mia opinione è quindi che la soluzione di abbandonare l’uso del burqa, sostituito dall’hijab, consentirebbe la libertà di culto e di tradizioni, propria di uno Stato democratico come l’Italia e la Francia, e al tempo stesso le necessarie garanzie di sicurezza e riconoscibilità, che sono altrettanto importanti da garantire da parte di un paese libero.
Il rispetto delle tradizioni inoltre in stati liberi e democratici, come quelli occidentali, deve necessariamente essere una libera scelta dell’individuo; questo fatto non sempre viene garantito, in particolare per le donne, nei paesi di tradizione islamica, dove la donna è sottomessa all’autorità del marito o del padre o del fratello. Perciò io aspetto e rispetto lo hijab delle donne islamiche e ritengo sia giusto consentire la libertà di portarlo, purchè questo sia una scelta non imposta e non si trasformi in uno strumento di sottomissione e riduzione delle libertà individuali.

SIGAUDI-TESTO ARGOMANTATIVO-TRACCIA 2

IL CALVARIO DELLA CROCE
Il crocifisso va tenuto o no nei luoghi pubblici?

“Il crocifisso non può essere appeso in classe perché lo Stato è tenuto a conformarsi alla neutralità confessionale nell’ambito dell’educazione pubblica perché studenti di tutte le religioni o atei sono obbligati a seguire le lezioni e lo scopo della scuola è di accrescere la capacità degli alunni a pensare criticamente”. Questa è la decisione presa dai diciassette giudici della Corte europea. La Corte ha così dato ragione alla signora Soile Lautsi,finlandese e residente in Italia,che ha richiesto di togliere i crocifissi nelle aule perché i suoi figli sono atei e quindi è una mancanza di rispetto nei loro confronti. Questa situazione ha provocato sconcerto fra i politici e la Chiesa. Infatti il Papa ha espresso l’opinione che l’ostilità a qualsiasi simbolo religioso non è laicità,ma una sua degenerazione; mentre il governo ha presentato ricorso alla Corte europea. Numerosi politici hanno espresso la loro amarezza e il loro sconcerto,sostenendo che nessuno vuole imporre la religione cristiana e il crocifisso è un simbolo della nostra cultura. Un rappresentante del Vaticano ha anche ribadito che “la religione dà un contributo prezioso per la formazione e la crescita morale delle persone, ed è una componente essenziale della nostra civiltà. È sbagliato e miope volerla escludere dalla realtà educativa”. In Italia il crocifisso è simbolo non solo della religione cristiana, ma soprattutto è il simbolo culturale e storico del nostro paese. La religione cristiana è un tutt’uno con la storia italiana fin dalle prime comunità fondate dagli apostoli. Nel nostro paese c’è stato il primo Papa,ospitiamo lo Stato della Chiesa,che ha influito molto nei secoli passati sulla vita politica della nazione. Per questo motivo toglierlo dalle aule non è mancare di rispetto alla Chiesa ma all’Italia. Anche cittadini italiani laici hanno sostenuto la decisione della Corte. Sostengono che in un paese laico non si possono imporre idee religiose,soprattutto a scuola dove sono presenti anche molti studenti ebrei e musulmani.” Ma il crocifisso non insegna nulla. Tace. Ma il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E' l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente.” Infatti dobbiamo pensare alla croce non come simbolo di una religione,ma come il simbolo di un uomo. Un uomo che ha sofferto,che si è umiliato,che è morto fra atroci sofferenze. E per cosa?per fondare una nuova religione?No,l’ha fatto per trasmettere il suo messaggio:”ama il prossimo tuo come te stesso”. Il crocifisso è un simbolo di sofferenza,di fatica,di lotta,di speranza,di amore. Lui è stato il primo a portare ideali di amore e uguaglianza ed è morto per essi, rappresenta tutti gli uomini morti per difendere i loro ideali. Per questo motivo anche gli atei non dovrebbero rifiutare il crocifisso,non rappresenta una religione ma l’umanità. Per quanto riguarda gli ebrei non c’è motivo che protestino. Infatti Cristo è stato un ebreo perseguitato e ucciso,così come è successo a molti ebrei nei lager. Perché gli ebrei dovrebbero rifiutare la croce che lo rappresenta??apparteneva al loro popolo. I musulmani riconoscono in Cristo un profeta e, come ha assicurato Ezzedin el-Zir,portavoce della comunità islamica,loro non hanno mai chiesto l’eliminazione del crocifisso. Questa disputa è destinata a durare per molto tempo ancora e probabilmente non si giungerà mai a una conclusione. Da sempre si cerca di comprendere il valore da attribuire a quel crocifisso,simbolo di un uomo che a 2000 anni di distanza non ha ancora finito di soffrire e di essere rifiutato.

ZUCCO - TESTO ARGOMENTATIVO - TEMA 1

E’ giusto permettere l’utilizzo del burqa?
Si deve vietare il burqa nella nostra società

Il burqa è indumento femminile caratteristico delle persone di religione islamica; fu introdotto nel 1900 durante il regno di Habibullah, che lo impose alle duecento donne del suo harem, in modo tale da "non indurre in tentazione" gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale; inizialmente questo velo poteva essere indossato da chi lo desiderava, ma con il regime dei talebani esso divenne obbligatorio per tutte le donne.
Indossare il burqa in Italia non è reato ma, ha fatto molto discutere la decisione del governo francese che molto recentemente ha approvato una legge che vieta di coprire il volto con questo velo, e si sta valutando se approvare questa legge anche nel nostro paese.
In Francia chi viola questa legge verrà punito con una multa di 150 € più un corso di educazione civica mentre chi obbliga una donna ad indossarlo rischia una multa di 30 mila € ed un anno di carcere.
Sempre in Italia è in vigore la legge 152 / 1975 che dice : "È vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino.". Con questa legge il velo dovrebbe già essere considerato come illegale poiché non permette il riconoscimento della persona.
La maggior parte dei politici italiani ha dichiarato di essere favorevole alla proposta di legge sebbene qualcuno abbia dichiarato che con ciò si attua una discriminazione nei confronti dei professanti di questa religione.
Perfino in Egitto l’uso di questo velo è stato vietato in alcuni collegi universitari.
In altri paesi come Svizzera, Olanda, Germania c’è il divieto di indossare il burqa negli edifici pubblici e nelle scuole.
Secondo me questa legge deve essere approvata in Italia poiché è giusto che le persone vadano in giro con il viso scoperto e siano riconoscibili in modo tale da non evitare problemi di ordine pubblico; gli islamici non devono interpretare questa legge come discriminatoria nei loro confronti in quanto non vieta il loro culto ma risolve problemi di sicurezza.
In un secolo come questo, segnato profondamente da numerosi attentati che hanno provocato la morte di moltissime persone innocenti, è ancora più lecita una legge che permette l’identificazione. Credo che se una persona vuole vivere in base alle proprie tradizioni e non vuole adattarsi alla società in cui va dovrebbe restare nel proprio paese poiché ogni società possiede delle tradizioni e delle leggi che devono essere rispettate da tutti se si vuole fare parte di essa.

BOCCHIO-TESTO ARGOMENTATIVO-TEMA N°4

-AGLI ITALIANI PIACE LA CACCIA?
-CACCIA:LA LEGGE DEI POCHI

Solitamente il mio risveglio mattutino è molto dolce. Sembra incredibile ma sono cosi fortunato che è il cinguettare degli uccellini che mi segnala al mattino presto che sta per cominciare una nuova giornata. Ma questa mattina no! Colpi di doppietta a raffica hanno segnato il mio risveglio e mi hanno ricordato, ahimè , che anche quest’anno è partita la stagione venatoria. Schiere di cacciatori, doppietta sulla spalla, vanno in campagna e, felici di scorrazzare all’aria aperta,sparano a tutto ciò che gli passa sotto tiro.
Mi sembra a dir poco incredibile che, in una società moderna che si definisce civile, ancora si stia a dibattere sull’abolizione della caccia; o ancora più assurdo che si stia a discutere sulle ”regole”per la caccia e cioè dove e cosa si può cacciare. Nella caccia non ci possono essere vie di mezzo, non esiste una deontologia venatoria o cacciatori buoni e cacciatori cattivi.
La caccia va drasticamente e totalmente vietata in quanto non è ammissibile, che per divertimento, addirittura regolamentato dalla legge, si uccidano animali indifesi. Il rispetto degli animali fa parte del rispetto della vita e della natura che ogni uomo che si definisce civile deve avere. Anche se, come ha asserito la Maraini, è difficile parlare di dignità degli animali in un mondo che non rispetta quella degli esseri umani. Eppure qualcuno ha il coraggio di asserire che l’uomo nasce cacciatore, che la caccia fa parte della nostra cultura, che crea occupazione e ricchezza o addirittura che la caccia non solo non è un’attività dannosa ma è ”necessaria “ per una corretta gestione ambientale e per la salvaguardia della fauna selvatica .La verità è che sono proprio i cacciatori ad alterare l’ecosistema e a rompere l’equilibrio naturale della fauna immettendo,per i loro scopi,animali non autoctoni. Un caso eclatante della mia zona è quello dei cinghiali,inizialmente immessi per essere cacciati ma che in seguito si sono riprodotti velocemente senza controllo e che ora creano grossi problemi alle colture e agli agricoltori.
E’ strano che una democrazia ignori che la stragrande maggioranza della popolazione (mai meno del 90% nei sondaggi)è contro la caccia e che uno stato civile con una legge tuteli più chi spara che chi è sparato. E per fortuna negli ultimi anni gli appassionati si sono più che dimezzati in quanto, come ha dichiarato il presidente della LIPU Danilo Mainardi ,se la lobby delle doppiette dovesse prevalere la diretta conseguenza sarebbe lo sterminio dei migratori.
La caccia va abolita non solo perché l’estinzione anche di una sola specie costituisce un danno irreparabile e incide gravemente sugli equilibri biologici sui quali poggia la sopravvivenza di tutti ma soprattutto perche non è degno che in un paese civile si uccida per sport o divertimento esseri viventi ignari e indifesi.

mercoledì 13 ottobre 2010

Fontana - Testo Argomentativo - Tema n 4

- La Caccia: Tradizione da preservare o massacro da abolire ?
- Puo ancora definirsi civile una società che massacra ogni anno per divertimento 100 milioni di animali innocenti ?

A: Ignazio Attizzu
Da: Lucrezia Fontana, IV Liceo Scientifico
Oggetto: Re:ecco perché sono un cacciatore

Buongiorno,
mi permetto di scriverle, avendo letto il suo manifesto a favore della caccia, in risposta all’attacco del ministro Brambilla.
Lei, in difesa del suo cosiddetto “hobby”, cita l’accordo siglato da Bird Life International e FACE e scrive che vi è stato il “riconoscimento della Caccia come attività non solo non dannosa, ma anzi necessaria per una corretta gestione ambientale e per la salvaguardia della fauna selvatica”;
leggendo il testo di quest’accordo non trovo da nessuna parte tale citazione, ma soltanto che in linea di principio una caccia controllata potrebbe non essere del tutto incompatibile con la tutela dell’ambiente, che è un po’ diverso da ciò che lei afferma. Mi permetto infatti di farle notare che non si può confondere l’abbattimento selettivo, mezzo, comunque spiacevole, ma necessario a conservare la salute di una colonia ci animali, con la caccia; il primo è infatti svolto da personale specializzato e preparato che sceglie i capi che possono risultare portatori di malattie o che hanno caratteristiche che gli renderebbero comunque dolorosa la sopravvivenza e li uccide, premurandosi di limitare al minimo la sofferenza dell’animale; assai diversamente, la caccia, non prevede, innanzitutto, la selezione del capo che viene abbattuto, spesse volte infatti il cacciatore spara alla prima cosa che vede muoversi, né è una conferma il fatto che spesso i cacciatori riescano a sparare ai propri cani e persino ai loro compagni (e se non distinguono un cane o un uomo da un capo di selvaggina, figuriamoci capire se un animale è giovane o vecchio, in salute o meno !!). Inoltre durante una battuta di caccia molte volte il cacciatore, magari non molto esperto, non riesce ad abbattere completamente l’animale, che vaga ferito, sanguinante e sofferente anche per più giorni prima di morire agonizzante, cosa che, lei forse considererà di scarsa importanza rispetto alla sua “eredità familiare e passione di gioventù”.
Nel suo manifesto continua dicendo che Berlusconi si è impegnato ad attuare modifiche, sulle leggi venatorie, “allo scopo di equiparare i cacciatori italiani, nei diritti e nei doveri, a tutti gli altri cacciatori europei. Un importantissimo segnale di attenzione e di rispetto verso il mondo venatorio, che ha certamente gradito e ricambiato nelle urne”. Dunque, lei ci dice chiaramente che la caccia, cioè il massacro, per divertimento personale, di animali indifesi diventa anche mero strumento politico, volta unicamente al rastrellamento di voti. Inoltre poniamo come scopo dei nostri sforzi la semplice equiparazione dei nostri diritti e doveri a quelli degli altri, invece di un’autonoma modifica degli stessi che rispetti la tanto predicata etica della vita, non ci prefiggiamo cioè la salvaguardia dei diritti degli animali ma ci limitiamo a “seguire la corrente”.
Lei conclude quindi definendo la caccia come: “l’immenso patrimonio di cultura, di civiltà, di tradizione che ne fa uno degli elementi che costituiscono il nostro essere orgogliosamente Europei, Italiani, Sardi.”
Leggendo ciò, istintivamente mi domando chi potrebbe definire ‘patrimonio culturale’ l’annuale massacro di 100 milioni di animali, portato avanti da 900 mila italiani, che si definiscono “sportivi”, ma che a me sembrano più simili a killer legalmente riconosciuti.
Inoltre, mi chiedo come possa essere ‘civile’ la negazione del Diritto alla Vita agli animali, che, in quanto esseri viventi, sono in tutto e per tutto uguali a noi, e vanno quindi rispettati poiché essi fanno parte di quella stessa natura di cui noi siamo parte.
Io concludo chiedendole quindi: “ Lei davvero porterebbe come elemento caratteristico dell’essere orgogliosamente Europei, Italiani e Sardi un’attività del tutto e per tutto propria dell’uomo delle caverne ???”


Ponte - Testo argomentativo - Traccia 1

DONNA O FANTASMA?
BURQA: MEGLIO PREVENIRE CHE CURARE

Li vediamo spesso in televisione: possono sembrare i più classici fantasmi del lenzuolo dei film, ma là sotto è nascosta una donna. Il “lenzuolo” che le copre, il burqa, venne introdotto agli inizi del 1900 dal sovrano Habibullah. Egli lo impose alle donne del suo harem, per evitare che gli uomini di corte le notassero troppo. Questo costume si diffuse velocemente tra tutti i ceti sociali, e sotto la dittatura dei Talebani divenne obbligatorio per tutte le donne. Tutt’ora è largamente diffuso nei paesi arabi ed è radicalmente integrato nella stessa cultura araba.
E’ noto che, in una società sviluppata come la nostra, in uno Stato i fondamenti culturali delle varie civiltà sono tutte da rispettare nello stesso modo, purché non vadano contro le leggi dello Stato stesso.
Proprio il burqa è un costume al limite della legalità nei paesi europei, poiché va contro alcune leggi fondamentali. E una cosa che va contro le leggi è illegale, e una cosa illegale, si sa, va vietata.
Il burqa infatti limita le libertà fondamentali della donna e si oppone alle più elementari forme di sicurezza.
Una donna araba che entra nel nostro paese, deve sentirsi libera da ogni obbligo esterno che non sia rispettare le leggi vigenti. Il infatti è un’imposizione della tradizione maschilista: non è una moda, e nemmeno un canone imposto dal corano (che si limita ad imporre l’uso del velo), ma è una tradizione tramandata da tempo.
Mettendo da parte la cultura e da dignità di chi lo indossa, il burqa impedisce il riconoscimento facciale. Eventi recenti di terrorismo hanno costretto il mondo intero ad alzare i livelli di sicurezza in tutti i campi, e il riconoscimento fisico e facciale ne è alla base. Ad esempio in Italia è in vigore l’articolo 5 della Pubblica Sicurezza che afferma: ”E’ vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino”. E’ evidente che indossare il burqa non è a fine sportivo, quindi va abolito. Infatti sotto questo velo che copre interamente la donna fino ai piedi (alcuni burqa possiedono una retina la livello degli occhi che impedisce la vista degli occhi stessi dalle altre persone), potrebbe esserci chiunque con qualsiasi cosa, compreso un terrorista con esplosivo o un rapinatore armato.
Qualcuno potrebbe dire che, vietando il burqa, si limitino le stesse libertà fondamentali di ogni uomo che ha diritto di manifestare la propria cultura. Ma un conto è credere in un dio o in un altro, o mangiare certi cibi anziché altri, e un altro conto è essere potenzialmente pericolosi per la società. La controversia quindi è inesistente nel caso italiano: se è vietato coprirsi il volto limitando il riconoscimento nei luoghi pubblici, automaticamente deve essere vietato anche il burqa.
Il caso più significativo è quello francese, dove è stata emessa una legge apposita che vieta alle donne di indossare il burqa nei luoghi pubblici per motivi di pubblica sicurezza.
Non si vieta loro di seguire la loro cultura, ma gli si chiede di adattarsi al modello europeo nello stesso modo in cui un europeo deve obbligatoriamente adeguarsi al loro.
Infatti è bene che chi è a favore del burqa in Italia, sappia che nel mondo musulmano e islamico la tolleranza è pari a zero. Se una donna con il burqa rischia in Europa come massima conseguenza una perquisizione o una multa, una donna italiana, francese o spagnola in minigonna in quei paesi rischia il linciaggio. Nel loro mondo viene imposto l’adeguamento, ed è giusto che sia così anche nel nostro.
In conclusione, la pratica radicale dell’uso del burqa in Italia deve essere abolita, sia per il rispetto delle leggi e sia per un rispetto reciproco tra culture.

martedì 12 ottobre 2010

Calvo - Testo Argomentativo - Tema n.1

VELO INTEGRALE: VIETARLO O NO?
IL BURQA VA VIETATO PER RAGIONI DI SICUREZZA.

Recentemente in Francia il senato ha approvato in via definitiva il divieto per le donne di indossare il burqa ed il niqab (velo che lascia scoperti solo gli occhi) nei luoghi pubblici; un’ammenda di 150 euro per i trasgressori e fino a un anno di carcere e trentamila euro di multa per chi costringe le donne a indossarlo.
Anche l’Italia vuole adottare un provvedimento simile; la proposta arriva dal ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna: «Vietare il burqa non significa togliere alle donne una libertà ma restituirla a coloro a cui è stata negata per troppo tempo».
Queste le parole del Ministro, che considera il burqa come una prigione per le donne, segno del predominio maschile. Sarebbe un passo importante verso la libertà di scelte personali, la donna potrebbe decidere se indossarlo o meno senza alcun obbligo.
Certo la questione è nata da un altro punto di vista, cioè quello della sicurezza; in Francia, così come in Italia, esistono leggi sulla sicurezza pubblica. Nel nostro paese è stata creata una legge del 1975 che recita: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Così come è vietato indossare caschi, passamontagna o altri copricapo di questo genere, lo stesso dovrebbe essere per il velo islamico integrale, anche se non specificato, che non permette il riconoscimento della persona.
La riconoscibilità delle persone deve essere garantita, tanto più a fronte del "rischio internazionale collegato al terrorismo”; si deve tener conto in primis “la circostanza di ordine pubblico” secondo cui persone travisate in modo da non essere riconoscibili non possono essere identificate dalle forze dell’ordine, individuate dai conoscenti e descritte dai testimoni.
Per non trasgredire questa legge ma per non venir meno ai propri principi religiosi, le donne musulmane nei luoghi pubblici potrebbero indossare alcuni tipi di velo come lo Hijab, che copre la testa ma lascia scoperto il volto, mentre in casa sono libere di indossare qualsiasi altro tipo d’indumento.
Quindi alla base di questo disegno di legge vi sarebbero solo ed esclusivamente motivazioni di ordine pubblico.
Tuttavia alcune persone, soprattutto esponenti politici, ritengono che promulgare una legge del genere sarebbe una forma di discriminazione, di prepotenza, una cultura dominante che s’impone su un’altra.
Sentimenti forti come la paura e l’insicurezza ci spingono a cercare soluzioni estreme per stare più tranquilli.
E’vero che è importante per questioni di sicurezza, ma a norma di legge non sarà mai possibile modificare comportamenti radicati nelle culture di origine.
Si deve tener conto del soggetto che lo indossa, dei suoi legami con la comunità di appartenenza, dei principi dettati dalla loro religione per evitare incomprensioni e prese di posizione inadeguate. Dura la reazione da parte del Direttore della sezione italiana della Lega Musulmana Mondiale, l’ex ambasciatore Mario Scialoja, che commenta sarcastico: “Se vogliono fare una legge non islamofoba, allora perché non si vieta anche ai Sikh di andare in giro con il loro pugnale?”.
Secondo alcune comunità islamiche, quella della sicurezza sembra quasi una scusa per seppellire quella che è un’usanza propria della religione musulmana tramandata da secoli.
A mio parere sarebbe opportuna una legislazione che preveda alcuni divieti relativi agli spazi pubblici ma che tenga aperto il principio di dialogo e libertà religiosa; non è una forma di discriminazione: ogni paese ha le sue leggi sulla sicurezza e come tali devono essere rispettate, soprattutto in un periodo in cui gli attentati terroristici e altre forma di violenza xenofoba, sono sempre in agguato.
E’ giusto che ognuno possa professare la propria religione, ma gli immigrati devono anche impegnarsi a rispettare la cultura del nostro Paese senza andare contro le nostre leggi.

Biaggio - Testo argomentativo- Tema n°1

E’ GIUSTO PORTARE IL BURQA?
VIETARE IL BURQA PER SCONFIGGERE UNA VIOLENZA.

Ultimamente si sente molto parlare del fatto se sia giusto o meno portare il burqa.
Ma cosa si intende per burqa?Il burqa è un indumento usato dalle donne di religione islamica e può essere di due tipi diversi: uno consiste in un velo fissato sulla testa che lascia aperta una piccola fessura all’altezza degli occhi, mentre l’altro è solitamente di colore blu, gli occhi sono coperti da una rete e scende lungo tutto il corpo.L’uso di questo indumento da parte delle donne islamiche nei Paesi occidentali ha provocato diverse reazioni e linee di pensiero, accentuate dalla decisione di vietarlo come quella presa dalla Francia e, come pensano già di fare la Spagna e probabilmente anche l’Italia.Una delle diverse opinioni è quella di vietare l’uso del burqa, posizione che a mio parere è corretta per diversi motivi; uno di questi è che indossare il burqa per una donna significa compromettere la sua dignità. Infatti le donne islamiche non decidono liberamente di portarlo, ma è un’imposizione dovuta alla loro religione, quasi una violenza, che considera la donna come un essere inferiore. Per questo le stesse donne dovrebbero ribellarsi per poter ottenere più libertà e anche per essere considerate cittadine con diritti alla pari degli uomini e opporsi così alle umiliazioni che devono continuamente subire, come quella di indossare un burqa.Questa posizione è sostenuta anche da diversi esponenti politici italiani, come la terza carica dello Stato, ovvero il presidente della Camera Gianfranco Fini, il quale ha dichiarato:<<>> e<<>>.Vietare il burqa però, non sarebbe un vero divieto, infatti secondo una legge italiana tutti devono rendersi riconoscibili nei luoghi pubblici, e siccome il burqa non permette il riconoscimento non dovrebbe essere indossato per rispettare la legge.Quindi secondo motivo per cui le donne non dovrebbero portare il burqa è un semplice problema di pubblica sicurezza. Infatti il burqa non permette di riconoscere chi lo indossa, per cui questi potrebbe essere un terrorista o un ricercato dalle autorità. Ma allo stesso tempo vietare il burqa può essere visto come un tentativo degli occidentali di voler imporre la propria cultura come superiore e dominante, sembrando quindi chiusi a tutte le altre culture tanto da non prenderle neppure in considerazione e generando così una violenza, forse ancora più grave di quella che devono subire le donne obbligate a portarlo per le loro credenze culturali.Proprio a causa di ciò si sono opposti a questo divieto Amnesty International, che ha prontamente criticato questa decisione; e il consiglio del culto musulmano(Cfcm), il quale sostiene che il provvedimento rischierebbe di stigmatizzare l’Islam.D’altra parte però pensiamo a come loro si comportano nel loro Paese nei nostri confronti: ad esempio, per entrare nelle moschee noi dobbiamo seguire le loro tradizioni, come togliersi le scarpe e coprire il capo, usanze che noi prontamente seguiamo, ma loro nel nostro Paese continuano a seguire le proprie anche laddove vanno contro la legge.Quindi penso che la cosa più importante sia rispettare tutte le culture, ma in particolare bisogna che gli immigrati rispettino la cultura del Paese che li ospita, accentando le sue usanze, così come il Paese deve rispettare la cultura dell’individuo ospitato senza mortificare le sue convinzioni e i suoi ideali.

Sartoretti - Testo argomentativo - Tema n° 2

Il crocifisso va protetto
È giusto appendere il crocifisso nelle aule?

Una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha vietato l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Infatti, secondo i sette giudici autori del verdetto, l’affissione del crocifisso viola ben due articoli della Convenzione.
Molte persone avranno accolto con favore questo provvedimento, considerandolo magari un passo avanti verso la completa laicizzazione dello Stato. In effetti, il crocifisso è principalmente un simbolo religioso e in quanto tale non può e non deve essere imposto a nessuno, tantomeno in una società come la nostra, in cui le minoranze etniche e religiose sono molte.
Tuttavia, l’esposizione del crocifisso sulla parete di un’aula scolastica non può certo essere considerata come un gesto di imposizione religiosa, e quindi come una violazione delle libertà della persona; tutt’al più si dovrebbe interpretare come un simbolo di speranza, di pace e di uguaglianza, ma anche come un simbolo della tradizione e dell’identità culturale del nostro paese, dove il Cristianesimo è da più di un millennio la religione più praticata.
Forse non è giusto appendere un crocifisso nelle aule, ma in fondo che male può fare? Offende forse qualcuno? Probabilmente dovremmo considerare anche il suo valore morale: è un simbolo che rappresenta il dolore umano e che porta un forte messaggio di pace a tutti, indipendentemente dalla religione praticata. È un simbolo che va al di là delle differenze religiose e culturali, che unisce persone in tutto il mondo. È anche simbolo di tolleranza e di uguaglianza in quanto Cristo è stato il primo a predicare questi valori. Fa parte di noi, del nostro passato come del nostro presente, è alle radici del sistema di valori etici e morali su cui ci basiamo ancora oggi. È un simbolo che ha cambiato il mondo, che ha influenzato la storia in molti modi, sia positivi sia negativi. E sarebbe davvero triste che l’Europa ci imponesse di nascondere una parte così importante del nostro passato.
Inoltre, è sempre stato una presenza fissa nelle nostre aule e non dovrebbe essere toccato, dal momento che rappresenta la fede della maggior parte degli Italiani. Persino quasi tutti gli schieramenti politici del nostro paese si sono dichiarati contrari al provvedimento e ora sono pronti a presentare un ricorso contro la sentenza. Pier Luigi Bersani, segretario del Partito Democratico, ha affermato che: «Su questioni delicate qualche volta il buon senso finisce per essere vittima del diritto. Io penso che un'antica tradizione come il crocefisso non può essere offensiva per nessuno». Dello stesso parere è anche il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini che ha spiegato che: «La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al Cattolicesimo, ma è un simbolo della nostra tradizione»
In conclusione, bisogna cercare di garantire a tutti i propri diritti e le proprie libertà, ma non si può certamente dire che un simbolo come il crocifisso, che va oltre la sfera religiosa, violi le libertà personali e imponga a tutti la religione cristiana. Tutti sono liberi di scegliere, ma l’Europa non dovrebbe farlo per noi, obbligandoci a compiere un gesto, quello di togliere il crocifisso dalle scuole, che dovrebbe essere prima discusso con attenzione ed accettato da tutti.

Eterno Marco-TESTO ARGOMENTATIVO-tema 4

LA CACCIA, MASSACRO SPORTIVO O ALTRO?

Mangiare ciò che cacci è una cosa, farlo per divertimento è un’altra cosa.

Il nostro ministro Brambilla, assieme a Umberto Veronesi hanno promosso qualche tempo fa il manifesto “La coscienza degli animali”.

In questo testo è scritto che gli animali hanno una loro coscienza, che molti sono in grado di provare emozioni e che hanno il diritto di non subire sofferenze non necessarie, e un primo obiettivo è l’abolizione della caccia.

Però la domanda non è “aboliamo la caccia oppure no?”… La prima domanda che ci si deve fare per un cacciatore è “mangio ciò che uccido oppure lo faccio perché mi piace uccidere?” mentre per un non-cacciatore è “quello che finisce nella mia tavola, qualche prelibatezza come quaglie, polenta con cinghiale/cervo (tutti animali che vivono in stato brado) non è stato a sua volta cacciato?”

Come persona a cui piace molto mangiare carne ammetto che anche io se non potessi mangiarla andrei a caccia, ma solo se è per nutrirmi. Credo che la caccia debba essere accettata quando viene fatta per mangiare, ma non se la si fa per un sadico desiderio di morte.

Questo mio pensiero è causato da un profondo amore per gli animali; pure io, animale onnivoro sottomesso alle due leggi del regno naturale (uccidi per non essere ucciso e uccidi solo se devi nutrirti) credo che sia giusta la caccia per il suo vero scopo: la sopravvivenza dell’individuo.

Questo perché proprio come qualunque persona per sopravvivere ho bisogno non solo di verdure, ma anche di derivati animali (io stimo molto i vegetariani che si rifiutano di mangiare animali morti, anche se non voglio smettere, ma stimo ancora di più quelli che mangiano cose come latticini o uova e trovo stupidi coloro che non mangiano almeno queste cose).

Qualcuno può dire che la caccia è utile anche se poi non mangi ciò che uccidi, dicendo ad esempio che aiuta a evitare il sovraffollamento animale; può anche dire che gli animali, se lasciati liberi di crescere, potrebbero cercare di riprendere territori e quindi diventare pericolosi per l’uomo, e il cacciatore evita questa possibilità.

E se qualcuno uccidesse gli altri esseri umani perché la popolazione mondiale è troppo alta per le risorse?? Un uomo ti bussa alla porta e puntandoti un fucile dice: “Scusa, ma la terra e sovraffollata.” Non è la stessa cosa con gli animali? Non solo abbiamo distrutto enormi ettari di foreste, ma abbiamo anche il coraggio di uccidere per divertimento (o per “evitare il sovraffollamento animale” se si preferisce) coloro che abbiamo sfrattato dalla loro terra?

Inoltre è normale che le creature prolifichino, e anzi è meglio visto che dopo gli ultimi secoli in cui l’uomo ha dato caccia agli animali senza pietà, provocandone l’estinzione (vedi il dodo). Se entrano nelle zone urbane è solo colpa nostra che oltre ad uccidere per il gusto di farlo gli abbiamo tolto pure le case.

Non si può accettare una cosa come questa, perché uccidere animali rimane un crimine, tanto più se è uno sport.

Sono sicuro che sono in molti a pensarla come me: UCCIDERE PER MANGIARE, NON PER GIOCARE.