martedì 12 ottobre 2010

Calvo - Testo Argomentativo - Tema n.1

VELO INTEGRALE: VIETARLO O NO?
IL BURQA VA VIETATO PER RAGIONI DI SICUREZZA.

Recentemente in Francia il senato ha approvato in via definitiva il divieto per le donne di indossare il burqa ed il niqab (velo che lascia scoperti solo gli occhi) nei luoghi pubblici; un’ammenda di 150 euro per i trasgressori e fino a un anno di carcere e trentamila euro di multa per chi costringe le donne a indossarlo.
Anche l’Italia vuole adottare un provvedimento simile; la proposta arriva dal ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna: «Vietare il burqa non significa togliere alle donne una libertà ma restituirla a coloro a cui è stata negata per troppo tempo».
Queste le parole del Ministro, che considera il burqa come una prigione per le donne, segno del predominio maschile. Sarebbe un passo importante verso la libertà di scelte personali, la donna potrebbe decidere se indossarlo o meno senza alcun obbligo.
Certo la questione è nata da un altro punto di vista, cioè quello della sicurezza; in Francia, così come in Italia, esistono leggi sulla sicurezza pubblica. Nel nostro paese è stata creata una legge del 1975 che recita: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Così come è vietato indossare caschi, passamontagna o altri copricapo di questo genere, lo stesso dovrebbe essere per il velo islamico integrale, anche se non specificato, che non permette il riconoscimento della persona.
La riconoscibilità delle persone deve essere garantita, tanto più a fronte del "rischio internazionale collegato al terrorismo”; si deve tener conto in primis “la circostanza di ordine pubblico” secondo cui persone travisate in modo da non essere riconoscibili non possono essere identificate dalle forze dell’ordine, individuate dai conoscenti e descritte dai testimoni.
Per non trasgredire questa legge ma per non venir meno ai propri principi religiosi, le donne musulmane nei luoghi pubblici potrebbero indossare alcuni tipi di velo come lo Hijab, che copre la testa ma lascia scoperto il volto, mentre in casa sono libere di indossare qualsiasi altro tipo d’indumento.
Quindi alla base di questo disegno di legge vi sarebbero solo ed esclusivamente motivazioni di ordine pubblico.
Tuttavia alcune persone, soprattutto esponenti politici, ritengono che promulgare una legge del genere sarebbe una forma di discriminazione, di prepotenza, una cultura dominante che s’impone su un’altra.
Sentimenti forti come la paura e l’insicurezza ci spingono a cercare soluzioni estreme per stare più tranquilli.
E’vero che è importante per questioni di sicurezza, ma a norma di legge non sarà mai possibile modificare comportamenti radicati nelle culture di origine.
Si deve tener conto del soggetto che lo indossa, dei suoi legami con la comunità di appartenenza, dei principi dettati dalla loro religione per evitare incomprensioni e prese di posizione inadeguate. Dura la reazione da parte del Direttore della sezione italiana della Lega Musulmana Mondiale, l’ex ambasciatore Mario Scialoja, che commenta sarcastico: “Se vogliono fare una legge non islamofoba, allora perché non si vieta anche ai Sikh di andare in giro con il loro pugnale?”.
Secondo alcune comunità islamiche, quella della sicurezza sembra quasi una scusa per seppellire quella che è un’usanza propria della religione musulmana tramandata da secoli.
A mio parere sarebbe opportuna una legislazione che preveda alcuni divieti relativi agli spazi pubblici ma che tenga aperto il principio di dialogo e libertà religiosa; non è una forma di discriminazione: ogni paese ha le sue leggi sulla sicurezza e come tali devono essere rispettate, soprattutto in un periodo in cui gli attentati terroristici e altre forma di violenza xenofoba, sono sempre in agguato.
E’ giusto che ognuno possa professare la propria religione, ma gli immigrati devono anche impegnarsi a rispettare la cultura del nostro Paese senza andare contro le nostre leggi.

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